Carlo Levi scrive all’editore Einaudi
Carissimo Giulio,
Il mio libro “Cristo si è fermato ad Eboli” comincia, tu lo sai, con le parole: “Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia”. Ora, di nuovo molti anni sono passati, di guerra e di storia, e di mutamenti delle cosee degli uomini, anni così gremiti e densi e rinnovatori che non possono descriversi per numeri, perché ogni loro momento vivo è stato, come avviene delle cose reali, eterno.
E se tu dai oggi nuova veste a questo libro, diciotto anni dopo la tua prima edizione, quella nella rara carta grigiastra del 1945, quando la tua casa editrice rinasceva dopo la forzata interruzione della guerra, e la morte di Leone Ginzburg, e la dispersione di tutti noi, o venti anni dopo il giorno in cui ne avevo scritto, senza sapere che cosa sarebbe avvenuto poi, quelle prime parole, e avevo da esse cominciato a svolgere, sul filo della memoria, non solo gli avvenimenti del passato, ma la contemporaneità infinita e poetica dei tempi e dei destini, in una casa di Firenze, rifugio alla morte feroce che percorreva le belve, questi diciotto, questi venti anni, sono forse un’epoca, o forse un breve momento.”