Lo spirito libero di Michele Pierri
In tutti i tempi e luoghi sono considerate grandi anime quelle che si librano in volo sopra gli esseri comuni, libere dalle convenzioni e tradizioni della loro stessa civiltà.
Qualcuno le indica come guide di riferimento per uscire dal labirinto della quotidianità, qualcuno le invoca come custodi della propria incolumità, per me sono l’esempio di uomini liberi da ogni pregiudizio e sovrastruttura fisica o mentale che sia, esseri dotati di grande spiritualità che sperimentano la vita per scoprirne l’essenza ed esserne parte integrante.
Agli spiriti liberi, il filosofo tedesco Nietzsche dedica una delle sue opere più incisive Umano, troppo umano, dove, il giovane professore manifesta l’intenzione di “dire sì alla vita”, alla propria vita lontana da ogni imposizione o da necessità momentanee che immobilizzano l’essere in forme stereotipate e rigide. Essere libero significa, per il filologo di Röcken, liberarsi del superfluo, cioè divenire autentici e questo è possibile solo passando attraverso il dolore della vita,”guardando l’abisso” ; tutto questo è riscontrabile nelle letture, nella vita e nelle opere di Michele Pierri, un colto intellettuale di origini napoletane che ha vissuto a Taranto la maggior parte della sua lunga vita.
Il giovane, ribelle alla volontà del padre che lo vorrebbe avvocato (come da tradizione familiare), si laurea in medicina, malgrado la sua marcata inclinazione letteraria. Il viandante dà il via al suo cammino dalla Francia, sperimentando il mondo da operaio nella fabbrica parigina della Citroën, dove entra in contatto col pensiero anarchico. L’interesse verso il sociale (dovuto anche alla lettura di testi marxisti) si esplica come impegno politico, così il nostro chirurgo, oltre ad esercitare instancabilmente la professione medica, scrive su giornali del cnl ed aderisce al partito clandestino della resistenza a Taranto. Addirittura si mescola agli operai dell’arsenale della città e porta loro le idee del socialismo sovietico con “La madre”, il romanzo di Gorky.
Per i suoi ideali libertari viene incarcerato dal regime di Mussolini, qui il cammino di ricerca interiore, iniziato con la filosofia tedesca e con quella indiana, svolta verso una piena conversione alla religione cristiana, o più precisamente, un sostanziale avvicinamento alla Chiesa. Finita la seconda guerra mondiale, il suo impegno politico scema in favore della dedizione “francescana” verso i malati ed i sofferenti. Dopo la caduta del ordinamento dittatoriale cambia la forma politica ma non la sostanza, così subentra, nel nostro pensatore, la delusione manifesta nella riscrittura del Bruto, dove al Cesare capo unico succede l’imperatore Augusto. Al combattente non interessano le chicchere lontane dalla realtà delle persone, aria piena di suoni ed urla, forme vuote di un mondo metafisico; un mondo dove i corpi materiali sono condannati al disfacimento della morte. No, secondo Pierri l’uomo è una unità indissolubile di anima e corpo, l’una vive nell’altro e viceversa negli uomini come negli animali, e così i pensieri ed i fatti, non c’è ragione che possa motivare la scissione fra res cogitans e res extensa. D’altra parte causa, colpa e giudizio non hanno valore, “almeno non per il temperamento umile di mio padre”- ci dice Giuseppe Pierri che si occupa dell’editing postuma delle opere paterne- “ci diceva sempre che non poteva giudicare con leggi a sé estranee, e non ci impartiva ordini per educarci, gli bastava darci l’esempio”.
Modesto al punto da non annoverarsi tra i poeti, per quanto la sua opera letteraria sia di valore riconosciuto da critici e letterati d’importanza nazionale da Ungaretti a Spagnoletti, a Valli. Leggendo l’opera pierriana, il nostro spirito è invitato a ripercorrere il processo di “purificazione” dagli istinti naturali perché lo slancio mistico di questo autore è mitemente coinvolgente, una tensione morale rivolta all’abbraccio amoroso con la verità, unica ed eterna meta da raggiungere.