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Anima e corpo in salamoia

Anima e corpo in salamoia

 

La prima domanda di cortesia nelle conversazioni, il primo segno d’at­tenzione nei confronti dell’altro, o forse, il primo interrogativo che ci viene in mente, incontrando una persona, è: “come stai?”. I mass-media tentano di rispondere a questo quesito quando ci “informano” della pan­demia che ci colpirà e di cui dobbiamo avvertire, già, i sintomi e gli effetti collate­rali. Un’informazione che non serve a risolvere il problema, ma contribuisce ad aggravarlo per­ché gli spettatori credendo, a riguardo, di sapere tutto il possibile, ritengono di poter preve­nire il male o, addirittura, di potersi curare da soli, provocando danni maggiori alla propria salute.

La realtà dei mass-media, come scriveva Niklas Luhmann (uno dei sociologi più influenti del ‘900), non coincide con la realtà umana, anche se la comunicazione è la protagonista assoluta d’ogni sistema sociale, essa non è la verità ma una sua interpretazione facilmen­te manipolabile.

Per il teorico tedesco, la società non è il raggruppamento di individui, intesi come anime e corpi, ma è l’insieme delle interazioni fra essi, ovvero la totalità degli scambi di pareri per­sonali che, acquistano forza, divenendo “opinione pubblica” capace d’imporsi su qualun­que conoscenza particolare mettendone in dubbio la validità.

Nella comunità moderna, perfino la salute, che dovrebbe essere un fatto d’interesse per­sonale, diventa argomento di conversazione ed intrattenimento, fra paure apocalittiche (vedi l’influenza suina e, prima, quella Aviaria) e minacce quasi taciute (vedi la peste bub­bonica in Libia). Insomma salute come convenzione sociale, magari il segno distintivo del proprio status di evoluzione civile e culturale. Proprio di questa arroganza diffusa fra i pa­zienti, presunzione e mancanza di fiducia nei confronti dei propri neo-stregoni in camice bianco, di questo atteggiamento ostile si lamentano i medici intervistati (55 fra medici di base ed ospedalieri) nel libro “Il medico, il paziente e l’altro. Un’indagine sull’interazione comunica­tiva nelle pratiche mediche”, scritto dal prof. Sergio Manghi esperto in sociologia della co­noscenza.

Il rapporto di fiducia medico-paziente è inficiato dalla iper- informazione del se­condo che non elargisce credito al suo guaritore, questa “mancanza” ostacola la dinamica della rela­zione tra i due soggetti cosicché “il rapporto con i pazienti è sempre più impersonale”.

A rendere stressante il lavoro dei dottori si aggiungono la sindrome da risarcimento, la mi­naccia di un intervento legale in nome del diritto alla salute, le pressioni aziendali legate ad una eccessiva burocratizzazione dell’intervento terapeutico, fino alla competizione fra col­leghi e la differenziazione gerarchica per specializzazione.

Nella ricerca lo studioso di Par­ma, sottolinea la confusione dei malati che fra aspettative personali e speranze indotte dalla mala-informazione mediatica pretendono dai sanitari ri­medi miracolosi immediati ed indolore.

Certo l’enciclopedia medica, on-line o cartacea che sia, può dare indicazioni pre­cise se consultata con cura da esperti; tuttavia troppi sono i cattivi esempi ricorrenti nell’e­sperienza di ognuno con i sanitari: da referti medici scritti male alle visite frettolose e piene di prescrizioni farmaceutiche spesso frutto d’intesa fra il prescrivente e la casa farmaceuti­ca produttrice. La comunicazione biomedica è difficile perché ogni soggetto tende a senti­re unicamente quel che vuole sentire, ma oltre questo limite c’è l’impoverimento professio­nale dei medici che lavorano con utenti-clienti e sono i primi a spersonalizzare il paziente riducendolo a un numero della massa su cui speculare.

Naturalmente ci sono le eccezioni buone e cattive, purtroppo quest’ultime sono quelle che incidono maggiormente e lasciano cicatrici troppo brutte per essere confuse con i tatuaggi dell’altro, qualcosa come l’assaggio della salamoia del giudice Morton per noi cartoons.

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