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Livio Romano tra Puglia e letteratura. Intervista

Livio Romano tra Puglia e letteratura. Intervista

L’Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Lettere Lingue e Arti, ha organizzato un ciclo di seminari: Raccontare la Puglia. Parola di scrittore”, coordinato dalla professoressa Maria Rosaria Carosella. Gli scrittori che interverranno sono tra le voci più interessanti della nostra regione: Livio Romano, Omar DiMonopoli, Gabriella Genisi, Cosimo Argentina, Mario Desiati. Gli incontri, rigorosamente online, si terranno dal 24 al 27 Maggio. Prendendo spunto da questa iniziativa, li abbiamo intervistati. Iniziamo con lo scrittore e professore di scrittura creativa, Livio Romano.

Spesso e suo malgrado, lei è stato definito “scrittore salentino”. Cosa significa questo per lei, questo titolo quali piaceri e quali oneri comporta, secondo lei, e preferirebbe indossare un’altra maglia o sentirsi cittadino del mondo?

Era piuttosto inevitabile che venissi definito ‘scrittore salentino’ così come è inevitabile che Magris è comunemente conosciuto come ‘scrittore triestino’. L’Italia è policentrica anche e soprattutto per la letteratura tanto che si può dire che abbiamo tante letterature per quanti sono i centri attorno ai quali si raggruma un filone, una corrente, ma da considerare, oggigiorno, nel villaggio globale in cui ognuno sviluppa la sua poetica al di là del luogo geografico in cui compone, dei puri accidenti. L’onere è anche un piacere, del resto. Le grandi battaglie civili mi vedono sempre in prima fila e questo la comunità in cui vivo lo sa e apprezza.

Quanto al “mondo”, siamo tutti cittadini di questa interconnessione perpetua. Per dire, anche essendo tornato a vivere qui io amo e leggo moltissimo i nuovi autori britannici e in qualche modo ne sono influenzato. Contemporaneamente, a soli 30 km da qui, un altro grande narratore, Omar Dimonopoli, è innamorato degli americani del Sud degli USA e del genere gotico, passione che va ovviamente a finire nei suoi romanzi.

Nei suoi scritti c’è sempre il Salento e con esso la realtà dei suoi giorni. Questo si accompagna più a un desiderio di denuncia dei deficit (mancanza di lavoro e dei servizi) che inducono la fuga dei residenti, oppure è maggiore l’indignazione di uno che è tornato ma sa come funziona il resto del mondo?

Denuncia e indignazione sono motori molto potenti e praticamente il motivo per cui scrivo. Il mio genere è spesso grottesco-satirico: metto idealmente alla berlina i vari potenti e usurpatori. Ma allo stesso tempo so bene che la Puglia è un luogo estremamente civilizzato, dalla mentalità avanzata, aperta. E non amo che lo si dipinga solo come teatro di scontro fra bande armate. Io racconto storie minime, appartenenti a un’epica minore, quella della gente qualsiasi che ama, si lascia, tradisce, spera, progetta. C’è un vitalismo, in quella che un tempo si definiva classe media, poco frequentato dai nostri narratori.

Il linguaggio che usa è il risultato di una contaminazione fra forme dialettali e forma aulica. Cosa vuole trasmette al lettore?

Sì, ho esordito con un libro fortissimamente sperimentale che fu definito “l’ultima opera della grande tradizione avanguardistica del Novecento italiano”. Volevo provare a mischiare lingua alta e bassa, anglicismi, gergo giovanile, dialetto totalmente reinventato e solo se mi tornava utile al “metro” della pagina, al ritmo, alla musicalità. Ma, eccetto l’ultimo romanzo, “Per troppa luce”, che secondo me è la cosa migliore che abbia fatto e nel quale ho un po’ ripreso il pastiche, per tutto il resto che ho scritto (che sia stato pubblicato o sia in attesa di esserlo) ho abbandonato completamente questi funambolismi linguistici a favore di una lingua più piana e regolata. La lingua non vuol comunicare nulla se non sé stessa. Insomma, è la nostra intonazione, il nostro timbro, la nostra voce. E anche se non azzardo più lirismi avanguardistici, be’ il ritmo è sempre il mio: scatenato, veloce, sincopato.

Lei insegna anche scrittura creativa. I nuovi scrittori cosa dovrebbero preservare della vecchia Puglia e cosa dovrebbero cambiare? Qual è la Puglia di cui scrivere, quella vista o quella immaginata?

Se rispondessi in qualsiasi senso a questa domanda sarei un pessimo insegnante di narrazione e un pessimo editor (altra mia attività parallela). Fare questi lavori significa tirar fuori il meglio di quello che gli aspiranti scrittori hanno dentro. Che quasi mai coincide con i miei gusti ed è proprio lì che entra in gioco quanto hai letto e studiato: devi rintracciare l’ascendente letterario di quel preciso modo di raccontare e provare a incanalare gli scritti che ti sottopongono verso modelli altissimi. Ma non solo. Devi aiutarli a rinunciare alle auto-censure, alle reticenze, a cercare dentro di sé il nucleo più vero della storia che vogliono scrivere senza divagare, a far sì che i personaggi prendano vita e dialoghino in maniera verosimile e così via. Che poi geograficamente questi allievi siano collocati in Puglia (ma come editor perlopiù lavoro con gente lontanissima da me e come insegnante di narrazione ho tenuto corsi in tutta Italia e perfino in Svizzera) è ancora una volta una casualità. Le storie devono aspirare all’universalità. Sì, è molto bello collocarle in un contesto geografico. Non so, una autore a caso fra i grandissimi: Philip Roth. Noi che lo veneriamo sappiamo tutto di Newark e dei suoi boschi. Ma Roth non è un genio per aver descritto così bene Newark!

Ai problemi secolari si è aggiunta la pandemia. Problemi economici, psicologici… se dovesse scrivere di questo in un libro sarebbe un romanzo con uno stile ironico o un saggio magari come uno dei suoi reportage? Cosa avremmo più bisogno di leggere?

Ognuno di noi ha bisogni diversi e cerca stimoli diversi nelle cose che sceglie di leggere. No, della pandemia non ho voglia di scrivere adesso e ho l’impressione che non ne avrò voglia mai. È stato un momento buio e da dimenticare e io voglio anzitutto divertire i lettori, nel senso più nobile del termine. Dal latino divertĕre, volgere altrove, deviare. Io stesso leggo libri che non mi facciano pensare alle bruttezze della vita. Perciò, sì, se proprio dovessi ambientare una storia nel periodo del Covid, sarebbe comica, sicuramente piena di erotismo, leggera e vaporosa.

Lucia Pulpo

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