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Civiltà urbana

Civiltà urbana

CATENACCIO: ”Penso di aver scritto qualcosa come l’ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città” Italo Calvino

La città, la nostra città dalla polis greca passando per il comune medioevale, quale significato conserva nelle proprie fondamenta?

Una risposta interessante è quella data da Brunetto Latini, priore nella Firenze comunale del 1287: ”Cittade èe uno raunamento di gente fatto per vivere a ragione; onde non sono detti cittadini di uno medesimo comune perchè siano insieme accolti dentro a un muro, ma quelli che insieme sono accolti a vivere a una ragione.”

Oggi tanto si parla di città vivibile, come se fosse possibile concepire una “urbe” morta o costruita per animali, una specie di stalla, o dormitorio, dove mangiare e dormire siano I soli atti necessari da compiere.

Gli uomni confluirono in comunità, non solo, perchè l’uomo è un essere sociale, ma, sopratutto, per sopravivere alla miseria incalzante; la campagna, con le sue grandi distanze, non agevolava scambi nè economici nè culturali, un isolamento che indeboliva ogni resistenza contro gli assalti dei nemici, fossero essi barbari stranieri, ladri mercenari o, signori scellerati.

La città, dunque, nasce come comunità politica unitaria, capace di provvedere ai propri bisogni,  in questo la città occidentale si differenzia da quella orientale, quest’ultima, infatti, rimane suddita di una forza centralizzata, sempre, assogettata al padrone dei mezzi di produzione economica, come il villaggio dei braccianti era sottomesso al padrone della della terra.

Il sociologo tedesco della città, Max Weber, individua nella città occidentale medioevale la nascita del capitalismo, il sistema economico che ha sconfitto il feudalesimo togliendo alla nobiltà di nascita ogni abuso e predominio sulla vita dei restanti “corpi di sangue rosso”, un sistema che sostituisce I meriti raggiunti ai diritti ereditari.

Questa storia sembra quasi estranea alla moderna idea di città e di vita in città, dove (speriamo) non ci siano più predoni stranieri interessati a sacchggiare ed incendiare case, dove l’ospedale non sia un privilegio misconosciuto e, la piazza una distrazione inarrivabile o, la scuola un impegno troppo oneroso e dispendioso. Mi piacerebbe descrivere la città odierna con termini che esaltino la qualità della vita raggiunta in questo luogo, così da delineare un progresso indiscutibile del nostro mondo divenuto sicuro e tranquillo, con zone piene di alberi ,dove resprare e pensare camminando, per non permettere allo spirito di infiacchirsi nella pigrizia della sedentarietà; strade ampie con marciapiedi larghi, per ospitare le piste ciclabili e con glI angoli degradanti sull’asfalto, per permetere alle carrozzine ed alle biciclette di scendere ed attraversare la strada, magari per prendere l’autobus dotato di pedane, per il libero accesso di tutti gli utenti, stazioni curate ed agevoli, case dotate di dispositivi ecologici per non disperdere, inutilmente, energia; bambini che esultano, vivacemente, all’uscita da scuola, al riparo dal contatto con I rifiuti maleodoranti dovuti, spesso, ai ritardi della nostra coscienza civile.

Un racconto che confina col sogno, realizzato in città internazionali come Monaco di Baviera; un racconto che sembra uscito dal romanzo Le città invisibili di Italo Calvino dove l’illusione magica, e la meraviglia e l’amore, verso la città, sono sostituite dall’amarezza e dalla prepotenza del cemento che, ha coperto e soffocato, anche, le nostre speranze.

Ricordo che, uno degli storici italiani più studiati a scuola: Roberto Sabatino Lopez, definiva la città uno stato d’animo, qualcosa che richiama l’emozione data dal bello, tanto professata da architetti di fama mondiale quali Massimiliano Fuksas e Renzo Piano che, tuttavia, con le loro ”belle” costruzioni tradiscono il significato del contesto sociale in cui operano;  edifici giganteschi che esaltano la quantità di vita in essi racchiudibile e non la qualità della vita stessa; costruzioni che creano disarmonia perchè rimangono isolate con la loro imponenza e supponenza, incuranti dell’uomo e delle sue domande ( “D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” Marco Polo protagonista del romanzo citato).

Distanti dalla denuncia di abusi edilizi, pertinente se pensiamo agli ecomostri di Punta Perotti, S. Giuliano Milanese, o le costruizioni tossiche di Crotone; denuncia fondata e già avviata da Francesco Rosi nel lontano 1962 col film Giù le mani dalla città, mi auguro che I cittadini tornino a rispettare ed a partecipare allo spirito della propria città difendendola dalla corruzione e dal disgregamento in solitari fattori primi per riappropiarsi del piacere di vivere in essa.

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