Sicuramente vi sarà capitato di vedere in TV uno di quegli spot per la ricerca contro le malattie rare. Più o meno funzionano tutti allo stesso modo: vi fanno vedere un bambino o una bambina con una grave disabilità, intervistano la mamma in lacrime, musica commovente di sottofondo e voce triste ma rassicurante che vi chiede di sostenere la ricerca medica. Nessun rispetto per la privacy delle e dei minori in questione e nessuna possibilità che possano autodeterminarsi (proprio come accade per gli spot che vi chiedono di adottare a distanza o sostenere le spese per i bambini e le bambine dei paesi del Sud globale).
C’è sempre una voce fuori campo che parla per loro, un genitore se si vuole accrescere il pathos, e nemmeno il vago dubbio che la ricerca medica per migliorare la loro vita sia sia un dovere di cui la società deve farsi carico e non qualcosa da lasciare alla pietà dei singoli individui.
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