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Category Archive : Racconti

Taranto, Italia, Cile. L’indimenticabile settembre 1973

Di

Di Mario Pennuzzi, pubblicato su TarantoBuonasera

Ma chi lo ricorda quel settembre di 50 anni fa?

Era ancora caldo, forse un po’ meno di questo 2023, ma la temperatura invitava ad andare a mare, cosa che non potevo fare, stavo preparando alcuni esami universitari, ed inoltre stavamo allestendo la Festa provinciale de L’Unità manifestazione che a me segretario provinciale de giovani comunisti di Taranto richiedeva un discreto impegno.

Un settembre denso di avvenimenti ed ansie in quei giorni, a Napoli scoppio una epidemia che richiamava antiche profonde paure che in molti conoscevano solo dai libri di scuola: scoppiò una epidemia di colera, che ben presto si diffuse in tutto il Mezzogiorno.

Nella federazione provinciale del PCI arrivò un medico, lo aveva chiamato Peppino Cannata al tempo nostro segretario provinciale “adesso ci vacciniamo tutti” fu l’invito perentorio, a cui tutti rispondemmo, anche se allora come oggi era noto che quel vaccino non avrebbe garantito una copertura assoluta. Decidemmo comunque di realizzare la festa de L’Unità, pur aumentando le precauzioni igieniche, non farla aveva troppe contro indicazioni.

Una mattina il gruppo dei giovani militanti si trovava presso la sezione intitolata ad Edoardo Voccoli, allestendo la mostra che avremmo esposto nell’area giovanile della festa, ricordo molti dei presenti. Quando ci giunse la notizia, “correte in federazione c’è stato il colpo di stato in Cile”   

 

 

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Ombra in ospedale

I giorni sereni hanno cieli aperti ad accogliere la luce del sole. Cieli vestiti di solo azzurro, non flirtano ma si lasciano accarezzare dal sorriso di chi li guarda. In questa atmosfera compiacente, i raggi del sole si avventurano dentro gli edifici contro cui sbattono, senza rancore illuminano i silenzi dei corridoi offrendo la scena all’esibizione di granelli di polvere. Una danza frenetica e, forse per questo, allegra, nessuna colpa può essere attribuita a così bravi ballerini.

Chiara spia il cielo dal suo letto d’ospedale. Potrebbe alzarsi e avvicinarsi alla finestra ma non ha voglia di mostrare il pigiama all’infermiere che sta mettendo la colazione sul tavolo.

Dicono che ha avuto un incidente, è stata investita da un autobus mentre gli passava dietro camminando sulle strisce pedonali. Nello scontro ha perso la memoria e fatica a riconoscersi allo specchio.

Nessun grosso problema per lei, la sua ombra sbuffa, vorrebbe salire sugli spifferi di corrente d’aria e uscire dalla monotonia che l’ha accerchiata. Magari avesse sbattuto la sua memoria ricavandone una frittata servita sul manto stradale. Invece è finita bollita come un uovo lesso, integra, soda e bollita in acqua senza alcuno sfizio o golosità.                               

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Turisti nell’Universo di casa

,,I Paperoni terrestri progettano di fare il “Grand Tour” nell’Universo credendo di emulare gli aristocratici del passato che, almeno una volta nella vita, andavano a vedere i posti e le rovine greco-romane.

Siccome tutto il pianeta Terra sta divenendo una rovina omologata “di serie” i paperoni nostrani cercano d’essere originali come i primi visitatori “civili” su Luna, Marte e qualche pianetino più in là… non sanno si essere stati abbondantemente anticipati dagli alieni.

Alieni che son venuti spesso sulla Terra e qui in Puglia… quest’estate avevano prenotato camere e villette per non dare nell’occhio: ma hanno disdettato perché i prezzi sono aumentati e la cordialità e la disponibilità della gente sono colate a picco.      

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Autodifesa di un ombra

La vita non è un palcoscenico su cui si muovono corpi ben illuminati o non illuminati affatto.

Il sole stesso offre una vasta gamma d’illuminazione che varia con le tacche sull’orologio e con gli ostacoli su cui i raggi inciampano, come su pietre alla memoria scagliate contro la tirannia del tempo. Talvolta li scavalcano, li trapassano, altre volte li abbracciano a discapito dell’intensità originaria della luce, perfino il colore sfuma, da brillante ad asciutto, triste velatura adagiata su un mondo dormiente. Il risveglio acceca i sogni, l’ultimo rifugio d’una realtà ferita.

Virginia era rimasta come accecata dal sole, era uscita dal buio del suo portone per ritrovarsi dentro un’oscurità maggiore sul marciapiede “domestico”.

Era bambina, succede così tutt’oggi, dopo anni passati silenziosamente al fianco di un marito dai tratti sfocati. Lo aveva trovato seduto accanto a lei a tavola, un pranzo di Pasqua. Portava un cravattino blu. Il fazzoletto dello stesso colore nel taschino, i baffetti da sparviero, gli mancava il bastone dei comici da cabaret.

Ora, ripresa la vista, la sua attenzione è attirata da una famiglia sul marciapiede di fronte al suo. Il padre cammina tenendo due bambine per mano seguito, a distanza di dieci passi esatti, dalla moglie col telefono in mano.

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Lunga vita ai sette nani!

Le favole servono bambini per fare esperienza del mondo, per conoscerlo e, infine, affrontarlo. Il prossimo anno uscirà il nuovo film su Biancaneve targato Disney. Non ci saranno i sette nani, saranno sostituiti da sette personaggi magici, politically correct. I sette nani, diversi per carattere ma che hanno reso simpatica la figura del nanetto laborioso a cui Biancaneve s’affeziona trascinando tutti i bambini in un abbraccio empatico coi piccoli e indipendenti omini dei boschi…. No, meglio parlare di esseri magici arrivati dalla realtà virtuale che produce like e bitcoin e richiude i bambini in un mondo parallelo.  

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Ombre sulla Realtà

Nel buio di una casa fredda, senza respiri nei corridoi, senza odori in cucina, senza rumori di passi sul pavimento, vien voglia di scappare e di trincerarsi nel letargo.

Dalla finestra si proietta sul muro un’ombra.

Scende dalla parete, scivola sul divano e arriva a toccare il pavimento. La coscienza alterata dal sonno le fa credere che l’ombra sia una macchia e lei si sofferma a cercare di ricordare cosa abbia potuto causare quella macchia, o alone, colpevole di lesa realtà…

S’è addormentata sulla sdraio aspettando una telefonata, un messaggio, un segno divino.

La macchia si muove.

Il silenzio non è assoluto, c’è un accenno di brusio che potrebbe essere irrilevante, magari è il motore del frigorifero che nel buio confonde i suoi brontolii con la notte.

L’ombra diventa più forte e nitida, fuori dalla finestra c’è qualcosa che vuole entrare. Non qualcosa, qualcuno su un drone formato monopattino come quelli che intralciano il traffico in città.   

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Nelson Mandela, dal dizcorso d’insediamento

«Oggi, tutti noi, con la nostra presenza qui e con le celebrazioni in altre parti del nostro paese e del mondo, conferiamo gloria alla neonata speranza di libertà. Siamo appena usciti dall’esperienza di una catastrofe straordinaria dell’uomo sull’uomo durata troppo a lungo, oggi qui deve nascere una società a cui tutta l’umanità guarderà e questo ci renderà orgogliosi.

I nostri atti quotidiani devono produrre una realtà del Sud Africa capace di rafforzare la nostra umanità, la fede nella giustizia, di rafforzare la nostra fiducia nella nobiltà dell’animo umano e sostenere tutte le nostre speranze per una vita gloriosa per tutti. […]

Ringraziamo tutti i nostri illustri ospiti I loro sogni sono diventati realtà. La libertà è la loro ricompensa.
L’abbiamo capito ora che non vi è nessuna strada facile per la libertà
Lo sappiamo bene che nessuno di noi da solo può farcela e avere successo.
Dobbiamo quindi agire insieme come un popolo unito, per la riconciliazione nazionale, per la costruzione della nazione, per la nascita di un nuovo mondo.
Fa che ci sia giustizia per tutti.
Ci sia pace per tutti.

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Ombre e loro corpi

La linea d’orizzonte offerta alle città di mare è più di una speranza, diventa un modo di pensare, una prospettiva che invita la vita ad andare oltre il porto sicuro, anche il mare in burrasca è un’alternativa valida. Prima d’imparare la geografia del cielo, prima d’imparare le correnti sottomarine e i pesci che le attraversano, gli apprendisti pescatori imparano a guardare il mare, le sue onde e le sue sfumature, precetto numero uno: il mare è traditore e cambia umore con un solo respiro.

Swami segue i genitori. Entra nel traghetto sull’acqua, passa sotto un ponte, tutto come tutti gli anni,———- da quando è nata, la storia è la stessa: il vento corre insieme alla nave, il sole brilla sull’acqua e non permette di vedere cosa c’è sotto. Sbarcano sull’isola con la spiaggia, dove fatica a trovare il campo per il suo magnifico smartphone. Cammina con la testa nello schermo mentre non si accorge d’essere seguita dalla sua ombra. La calpesta, come tutti, la getta a terra, contro il muro, ci si siede sopra senza accorgersi che l’ombra oltre a odiarla le sta prendendo le misure.

L’ombra è snella, si sposta nel giorno con grande disinvoltura, quasi saltella vispa portando le sue curve sinuose a spasso dietro Swami il cui sguardo è smorzato dalla pesantezza dei suoi frequenti sbadigli, mentre gli occhi socchiusi sono sempre umidi e arrossati dallo sforzo di catturare ogni pixel dello schermo su cui vive.

Di giorno l’ombra è accondiscendente e accompagna ogni passo della ragazza con una leggerezza che stona con il timbro vocale della giovane umana. Quando l’oscurità riempie il cielo dona un po’ di libertà alle ombre, molte però rimangono fedeli prostrate ai piedi dei propri “alter ego di carne”, ombre senza carattere, senza desideri propri. Ambra ha una sua volontà: sostituirsi a Swami e nuotare in mare aperto.

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I have a dream. Citazione

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno.

E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

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Ombrìa

La mia ombra è il negativo della fotografia che mi ritrae tutta e si chiama Ombria.

Mi assomiglia nei tratti formali, la sua voce è musicale, affascinante, nulla a che vedere col mio gracchiare. Credo sia consapevole di questo, infatti a volte, ripete qualche mio pensiero accentuando la differenza di pronuncia e di sonorità. È bello sentir dire da lei le mie verità.

Naturalmente lei vola, come nei sogni, raso terra. Questa è la sua forza perché non guarda il mondo dall’alto, fredda e distaccata; Ombria passa sotto le sedie a cercare l‘ombra delle cose ovvero la parte trascurata che non deve apparire ma deve esserci per dare profondità alla materia.

Mi racconta tutto: quel che trova e quel che ritiene mancare.

In fin dei conti, è l’unica amica che ho anche se di me non si fida appieno.

Sottolinea: “Noi non siamo mai alla pari, se una continuasse nell’altra si potrebbe immaginare un qualche rapporto ma due realtà discontinue come le nostre non lasciano margine per la discussione di ipotesi concrete.”

Giorni fa, abbiamo assistito a una scena, una delle tante con differente interpretazione.

Un uomo stava parlando al telefono con un solo auricolare nell’orecchio mentre l’altro penzolava ondulando leggermente, ogni tanto alzava il gomito con una smorfia di dolore. Muoveva il braccio piegato cercando di roteare la spalla. Con l’altra mano teneva il guinzaglio di un grosso cane che sembrava mettere le radici nel marciapiede senza intenzione di camminare. Insomma la staticità del cane compensava i movimenti da “logorio moderno” del suo accompagnatore.

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