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Aminta Pierri, storytelling e fotografia

Aminta Pierri, storytelling e fotografia

La voce appassionata di Aminta Pierri arriva quasi inaspettata come una folata di vento improvvisa e apre un libro fotografico svelandoci la segreta alchimia delle storie che l’hanno prodotto.

La fotografia nasce a fine Ottocento ma, secondo te, quando diventa linguaggio di un racconto libresco?

Il 14 Ottobre 1843 Anna Atkins, fotografa e botanica inglese, pubblica personalmente il suo Cyanotypes of British Algae in un numero limitato di copie realizzate a mano. Poco tempo dopo nel 1844 Henry Fox Talbot pubblica il primo fascicolo di The Pencil of Nature. Fin dalla sua nascita possiamo seguire un tracciato nel quale la fotografia si lega alla scelta del libro come forma espressiva e divulgativa.

A ragione di questo uso potremmo individuare diversi motivi come la preferenza di un formato ‘album’ che permetta di conservare, sfogliare, portare le proprie opere in maniera più o meno agevole. Ma personalmente credo che sia anche una scelta di libertà creativa e una questione di connaturata dote narrativa dell’oggetto libro che spinge da sempre alla scelta di questo mezzo gli autori. Lo sfoglio porta in se stesso una dinamica di tempo, di inizio e fine che è un elemento con cui o contro cui molti fotografi si esprimono. A dispetto però di questa antica connessione l’argomento è stato raramente affrontato da studi di settore, in ogni modo Anna Atkins è la prima ad usare l’oggetto libro e la prima ad autopubblicarsi cosa preziosissima nel nostro tempo in cui una parte fondamentale della ricerca fotografica si esprime tramite proprio il self-publishing e il 14 ottobre è diventata la data internazionale del libro fotografico.

Cos’è, per te, un libro fotografico, cosa metti nei libri di cui sei autrice e cosa cerci in quelli che leggi?

Durante gli anni di studio a Roma una insegnante a cui devo moltissimo, la fotografa Lina Pallotta, portò a lezione un libro che per me è stato folgorante: Ray’s a Laugh di Richard Billingham, un racconto invasivo, pieno e crudelmente poetico della vita privata del suo autore. Gioia, difficoltà, dolore, quotidianità mostrate in modo ravvicinato tutto contenuto in un libro. Pensai semplicemente che se potevo essere personale, diretta e ‘quotidianamente’ poetica e potevo esserlo tramite un libro allora quello sarebbe stato il mio obiettivo. Esserlo nella mia produzione, cercarlo in quella degli altri. Direi che è l’intensità e l’onesta di ricerca quello che mi attira da autore, da lettore e da editore. Provare quanto più possibile ad essere veri, che non significa non astrarre o non usare figure retoriche narrative (cito da Carofiglio una questione che mi è sembrata da lui spiegata molto bene: il Kafka delle metamorfosi è assolutamente vero, in quell’opera l’autore si mette a nudo e mette a nudo il suo rapporto con il padre pur parlando nei termini assurdi di una trasformazione in scarafaggio) ma toccare questioni che ci mettano in difficoltà e nelle quali il nostro cuore deve prendere una posizione e mantenerla.

Qual è il futuro del libro fotografico, secondo te?

Ultimamente il libro fotografico  ha visto crescere un fortissimo stato attrattivo con festival dedicati, premi e attenzioni mediatiche e non, cosa che ha portato ad una vasta produzione su cui si potrebbe dibattere in termini di qualità, moda e misura. Ma il problema per me non è nel mezzo quanto nel suo uso. L’autoproduzione di un libro può costituire un esercizio ottimale nello studio di un proprio lavoro o percorso, può essere anche un oggetto di passaggio (un libro di studio dove raccolgo i miei appunti/immagini e che potrà servirmi per creare altro come una mostra) o può essere l’obiettivo principale (il libro è il lavoro, ho lavorato per creare un libro che viva come libro). In ogni modo la consapevolezza di sapere ciò che si vuole o anche di sapere che si vuole scoprire questo qualcosa è fondamentale per non produrre in maniera fine a se stessa una serie di pagine legate da un dorso. Se lavoriamo per la consapevolezza, sia che siamo studenti, autori formati, o amanti del genere il libro fotografico potrà cambiare forma in pubblicazioni stampate o digitali o ancora ibridi ma resterà sempre un mezzo principale della fotografia.

La quarantena ha fermato festival, mostre e presentazioni di libri. Quanto e come, queste performance, sono importanti per il libro e quanto sono valide forme alternative come i video via social per raggiungere i lettori?

Stiamo vivendo un momento molto complesso in cui i pensieri si alternano tra un ‘non cambierà nulla’ e un ‘siamo alle soglie di qualcosa di nuovo’. Quasi tutti gli aspetti della nostra vita vengono toccati dal virus o dalla sua prevenzione. È spiazzante dover assistere a chiusure e rimandi a date da destinarsi di numerosi festival (tra i più celebri Les Rencontres d’Arles) e manifestazioni del mondo editoriale e in riferimento al libro fotografico alcuni appuntamenti avevano preso direi quasi un’atmosfera di gioia da festa patronale, lo dico non per fare polemiche spirituali ma dal punto di vista di ritualità collettiva e in qualche modo anche propiziatoria. È innegabile che questa situazione ci renda tutti sospesi ma con stupore io stessa sto sperimentando alcune possibilità che ha il virtuale. Paradossalmente il tempo, la possibilità di creare contenuti di approfondimento per i singoli titoli pubblicati che si possono rendere disponibili a tutti ed inoltrarsi in particolari che difficilmente avrebbero spazio nelle presentazioni in persona. L’offerta anche sembra maggiormente pareggiata e sta subendo variazioni, non tanto nella quantità ma quanto nella disponibilità: il lettore può scegliere con lentezza e non essere spinto a preferire e consumare ciò che ha di vicino e immediato così da essere pronto per il seguente ravvicinato evento/acquisto (in alcune occasioni sembra di essere travolti dalla numerosità degli eventi da rincorrere per un mordi e fuggi e passa al successivo). La lentezza è un valore prezioso che dovremmo sperare di trasportare anche in una tanto agognata fase post-pandemica.

Lucia Pulpo

Nota: Nata a Taranto, vive e lavora a Martina Franca dove ha fondato la casa editrice di fotografia “Balter Books”. Autrice del libro fotografico “L’Unghia del leone”, le sue foto sono state esposte in mostre sull’intero suolo nazionale.

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