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Volere volare (X Capitolo)

Volere volare (X Capitolo)

Tutto quello che puoi … fallo. Gregorio, questo me lo dico spesso. Un incitamento contro ogni pigrizia e demotivazione. Da una parte coricarmi stanca è una soddisfazione perché indica che ho fatto qualcosa d’impegnativo, dall’altra è un sentirmi utile a me stessa, come dire che ho bisogno di me e che posso contare sul mio aiuto. Non poter contare più sulle mie forze mi ha fatto sentire tradita, come se il mio corpo avesse tradito la mia mente, quest’ultima non è avvezza al perdono e il problema è diventato tragedia.

Come nella “Sonata a Kreutzer” di Tolstoj, dove i coniugi sono cervello e corpo uniti in me. Quando il marito immagina che il corpo della moglie lo tradisca… lo uccide; ho letto la storia dunque devo evitare questo sacrificio.

Ecco l’ho scritto e non lo dimenticherò più… la soddisfazione di essere utile a me stessa è il miglior incentivo per impegnarmi a mettermi in salvo. Il light motive della mia vita degli ultimi 20-25 anni è la sensazione di pericolo, un’ansia perenne ma leggera come quando ti hanno rubato in casa i ladri. Comunque sospetti, anche se tutto è a posto, il silenzio è il preliminare della tempesta; ormai è cosi, come stare seduta in riva al mare quando è agitato e pronto a portarti via in mezzo a onde e corrente per annegarti.

Ragazzina mi avventurai con due amici sul canotto in mare aperto, a un certo punto una pinnetta di pescecane si mise a girare intorno a noi. T’amico, figlio di un pescatore dilettante, disse di non agitarci perché era solo un cucciolo; “se arriva, la mamma basterà il canotto?”, forse me lo chiedo ancora.

Infatti, ancora sogno di stare sul mare con sotto gli squali. Non e un incubo perché non cado, ma il thriller c’è tutto.

Sapere di poter opporre resistenza, di poter mettermi in salvo, di riuscire a fare qualcosa… è rassicurante. Fare qualcosa per aiutarmi, contare su me stessa. Cosi il tradimento primordiale si ribalta allo specchio, ora credo che la cosa che non riesco a perdonarmi sia: aver lasciato andare la capacita di bastare a me stessa. Mi sono odiata dopo l’operazione del primo tumore. Mi odiavo e non potevo guardarmi allo specchio perché mi ero tradita, ho sottovalutato i sintomi nel culto del mio cervello e ho lasciato che il corpo andasse alla malora. Riprendendo l’unione matrimoniale russa: la moglie si è annullata per il marito e poi lo ha tradito ed essendo tutto in me, il tradimento è palese. Te lo scrivo per rimprovero, non farlo più. Sforzati di mantenere l’unita che il cervello ha bisogno del corpo per vivere e il corpo ormai ha imparato che il cervello coordina e gestisce, cerca di aiutare non bisogna metterselo contro.

“Tu sei la peggior nemica di te stessa” questa è la battuta di un film, lo dice la madre alla figlia dopo che questa ha tradito il marito. Per me si traduce in: “fai l’esatto contrario della tua prima scelta” l’istinto è omicida, almeno il mio. Su questa terribile certezza posso fare affidamento anche se mi sento davanti a un’antinomia scolastica: “IO dico di essere bugiardo e non so se io stia mentendo”.

Devo fare tutto quel che posso senza risparmiare materiale da spendere in rimpianti e accuse inutili, inutili e dannose, come cani che si mordono la coda. Darmi da fare è l’antidoto alle mie depressioni. Ho letto alcuni scrittori vogliosi di guardare nell’abisso, di attraversarlo e uscirne per poi scriverne. No, io non voglio guardare, io voglio uscire dalla dannazione.

Per questo Gregorio, mi rivolgo a te… cerco di risalire dalla disperazione di un assoluto niente. Una volta caduta non avevo appigli, riferimenti, niente luci, suoni e speranze. Poteva essere notte, giorno, poteva piovere, far caldo o nevicare… senza sensibilità, senza corpo non sai nemmeno se sei sospesa e se andare in una direzione oppure se stai ancora cadendo più giù. Li c’è davvero nulla da fare. No, voglio uscire e non ricaderci, capisci amico mio? Amare la vita vuol dire non guardare la morte, non invocarla, non augurarsela. Una frase abusata di Nietzsche recita: “Quando guardi a lungo l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te” e non è per ammirarti. Propongo un brindisi al piacere di sentire i bicchieri tintinnare, all’incontro tra loro e noi: corpo, anima e cervello.

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