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Elogio della follia (VIII capitolo)

Elogio della follia (VIII capitolo)

Ciao Gregorio, oggi è una bella giornata, una delle tante del nostro Sud ma devo raccontarti di un lontano fiocco di neve e della promessa che gli feci. Questo ricordo è fondamentale perché i miei giorni non sono tutti felici, ma è importante ricordare sempre quel fiocco per rinnovarmi la promessa di restare fedele alla vita. Una volontà che ha tante declinazioni verbali, la prima è vivere. Dante incontra all’Inferno anime i cui corpi si muovono ancora sulla terra o, come canta Lucio Dalla, “morti da sempre, anche se possono respirare”; ecco perché parlo di vivere come fedeltà alla vita.

Torniamo a Monaco di Baviera, all’esperienza dell’Erasmus (e chi l’avrebbe detto quanto una sedia a rotelle può andare lontano e sola)…sono partita il giorno del compleanno della mia nonnina morta da qualche mese. Non ho voluto preoccuparmi di cosa avrei potuto trovare, sono partita senza aver speso lacrime sulla tomba della nonna, non riuscivo a piangere, dura come un sasso scagliato lontano al confine fra cielo e mare. Sperai che il viaggio fosse un regalo che la nonna mi mandava per indurmi a lasciarla andare via. Dicono sempre così, i morti bisogna lasciarli andare, ma ad andare fui io. Piansi dopo un mese di esilio volontario,cercando un onore in quella disfatta, in quella fuga da codardo che non combatte. Piansi con singhiozzi che mi scuotevano fino a farmi cadere fuori dalla facciata di pietra dietro di cui stavo rimanendo nascosta. Il tempo era grigio come ai tempi bdell’università a Pavia, ma dopo Natale le temperature scesero fino a venti sotto zero. Il freddo camminava per strada ma in metropolitana, nelle aule o alla casa dello studente faceva caldo tanto da stare in maglietta con le maniche corte. Fuori nevicava tanto che molti usavano gli sci per spostarsi in periferia e tutto quel chiarore cui non ero preparata mi chiedeva di mettere gli occhiali da sole, che strano per me. Se l’avessi visto in TV, avrei pensato ad una versione tedesca di “Love boat” con vichingo trasformato in esclusivo gentleman per il pubblico femminile, in ogni caso avrei repentinamente cambiato giudicando false sceneggiatura e scenografia.

Un pomeriggio soffocavo nel calore in camera e uscii in maglione e pantalone soltanto.

Nevicava con fiocchi cosi grandi da sembrare batuffoli d’ovatta. Aprii la mano destra per reggerne uno imprudente, soffice, bianchissimo e stava lì senza nemmeno sciogliersi, chissà come gli guardai dentro ritrovando lo schema che avevo visto su un manuale di scienze di un indefinibile anno di scuola. Improvvisamente mi sentii dentro un film, magari c’era “Riccioli d’oro” o in qualche poesia recitata in piedi su una sedia, magari “piccolo

mondo antico” tanto declamata dopo la morte di papà. Non era questo il punto. Mi piacque tanto quella situazione straordinaria, la bellezza di quel chicco visto dal dentro che ebbi bisogno di guardarmi intorno per tornare in me.

Il freddo iberna i germi, i corpi per i vermi futuri. In fondo conserva intatto anche il dolore coll’unico effetto di prolungarne la permanenza fino a trasformarlo in abitudine, e l’abitudine in dannazione.

Mi promisi che non l’avrei più dimenticato, un momento magico nel quale ero capitata grazie alla sensibilità. Quella bellezza, forse poesia, l’avevo colta perché avevo rotto il guscio di pietra che stavo indossando per ripararmi dal freddo e dal dolore. Promisi che non l’avrei mai fatto, che sentire dolore vuol dire anche essere vivi e ripararsi dalla vita significa

un po’ morire. Non volevo morire dentro prima che fuori. Difficile onorare sempre la promessa ma disattenderla volutamente e rinnegare me stessa. Per questo non voglio essere impassibile, non mi lascio scivolare tutto addosso. Appena sciolto il fiocco tornai al chiuso per evitare raffreddore o mal di gola.

La poesia è un incanto da conquistare con coraggio, vale sempre la pena andarle incontro per offrirle un palmo su cui posarsi.

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