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Il tuo sentire. Intervista a Roberta Ignazzi

Il tuo sentire. Intervista a Roberta Ignazzi

La poesia riesce a trasformare le parole in emozioni masticando lentamente le situazioni dalle quali nascono i singhiozzi, cogliendone la vita in esse celata per rigenerarla e noi con lei.
Questo è l’incontro che ha portato Roberta Ignazzi ad uscire da dieci anni di malessere (dal nome specifico di anoressia e bulimia) al canto d’amore, alla scelta di vivere intensamente ogni momento.
Un canto dalle tinte forti, opache a volte ma sempre intense dal titolo “Il tuo sentire” edito da Aletti; ne parliamo con l’autrice, Roberta Ignazzi:
d. Nel titolo richiami l’attenzione su “sentire” verbo associato in molte delle tue poesie a “parole”. Dunque ognuno di noi sente solo le proprie parole e sono queste a dare forma e materia ai pensieri?”
r. Una delle parole più belle contenute nel dizionario, è il verbo “sentire”. E’ la parola stessa a rievocare apertura. La percezione di qualcosa di esterno che ha un ritorno nel corpo. Sarebbe inimmaginabile pensare ad ognuno come una “monade”, almeno nelle parole. Certo, penso che ognuno di noi sia un universo a sé stante ma la parola è un ponte. Forse, uno dei pochissimi modi attraverso cui è possibile comunicare. A me piace immaginarle come isole alle quali approdare e nelle quali trovare ristoro e conforto in momenti terribili come nel libro stesso, sottolineo. La poesia e quindi la parola è stato ed è tutt’ora quello che può ammalarmi e guarirmi, usando appunto “la penna come pala” come dice una delle poesie contenute nell’ultima parte. Di base c’è che il mio mondo è costituito dalle parole, essendo un mezzo espressivo e comunicativo molto forte, cerco di, cosi come mi piace, sottolinearne l’importanza nell’uso. Ciò rimanda molto, almeno in maniera puramente figurativa e descrittiva a quello che uno dei filosofi che stimo maggiormente afferma, Nietzsche in Verità e Menzogna in senso extramorale:” il linguaggio è un esercito di metafore mobili”. Come detto, ciò che voglio prendere in prestito è l’immagine evocativa, non decontestualizzarne il significato. Appunto, pensare alle parole come qualcosa di mobile, di vivo che sappia di movimento, una forma di incontro e di relazione con l’altro.

d. La raccolta “il tuo sentire” è divisa in tre momenti… a cosa corrispondono, le fasi di una guarigione?
r. Più che di una guarigione, a me piace dire di una nascita. Il tentativo è stato quello di rendere chiaro il testo al lettore per perseguire l’obiettivo morale che fa da sfondo: raccontare la mia esperienza con la vita, ridandole la possibilità di essere vissuta per ciò che è, lasciarla fluire in tutti i suoi aspetti. Ho una particolare ossessione per il tempo, per questa ragione il testo segue una certa scansione temporale. Diviso in tre periodi per, oserei dire, seguire uno schema logico che nella realtà, non sono stati momenti diversi. La vita non accade per compartimenti stagni che per renderli però chiari e fruibili, gli accadimenti della vita bisogna verbalizzarli in maniera esaustiva o quantomeno comprensibile, se come me, la pretesa è quella di poter condividere e donare e amare (ma questa è un altro aspetto del quale parleremo in seguito). A volte, il percorso di definizione personale va a ritroso come se, da una spaccatura poi tutto si ricomponesse ma il problema è proprio quello, rompersi appunto e scoprire in quella crepa, l’estrema perfezione nell’imperfezione dell’essere. E le mie “crepe” sono state molte, cosi come molte sono molteplici i segni che mi porto dentro eppure quel passato a cui per mezzo della scrittura ho conferito la sua dimensione, di essere passato, per quanto ingombrante possa essere e alle, volte presente, mi ha insegnato ad accettarmi cosi come sono, senza la pretesa di volere o poter essere qualcos’altro. Ed è quando accetti anche il peggio, che il meglio di te inizia a venire fuori.
Un pezzo molto importante del testo, sono le illustrazioni di Giuseppe Cosimo Tricase, architetto e disegnatore che è la “mano” di quest’opera. La straordinarietà del suo tratto è stata quella di costruire un percorso visivo che aiutasse il lettore a comprendere meglio quale fosse il cammino. Hai notato come la linea tra i disegni sembri “quasi unica”? Di quelle rotture che ha riconosciuto tra le parole ha disegnato. Aiutato dalla sua estrema sensibilità, come gli hanno detto durante una delle presentazioni, “fatto il suo percorso nel mio percorso”. Per me questo è il significato dell’arte, arricchimento. Consiglio vivamente di vedere i disegni originali nella loro reale grandezza perché è, non solo un arricchimento per la bellezza degli occhi ma proprio un modo per vivere il testo da un altro punto di vista. Tutte le sue opere sono in esposizione sia sulla pagina personale facebook, e anche, sul suo profilo instagram: ciosef 88.
d. Queste poesie nascono dalla fame di vita di cui spesso parli o sono il punto di arrivo che disvela un malessere?
r. Il malessere di cui tu mi chiedi è lo stesso che mi ha portata a scrivere tutto il testo.
Ho iniziato a scrivere perché non conosco un altro modo per parlarmi. Scrivere è un dialogo interiore che smembra, che analizza, che ferma le emozioni, tutte, sulla carta. Il punto non è capire da cosa sto partendo, se da una fame di vita o di morte ma che cosa voglio scrivere, tutto il resto poi è una derivazione del motivo che, spesso, ad un animo fagocitante di emozioni, sfugge.
E’ stata la scrittura stessa che mi ha insegnato a disvelare un malessere. Avrai notato, come solo una delle poesie contenute nella silloge, porti la data di quando è stata scritta. Considerando la gravità di ciò che ho fermato sulla carta in quel momento, penso che la partenza sia stato un malessere ed il punto la fame di vita.
d. Cos’è “l’abitudine all’infelicità”?
r. É impedirSI di provare emozioni. Talmente, abituata a vivere nel malessere, spesso ho dimenticato che pure il nero ha delle sfumature che hanno il diritto di essere vissute. Metaforicamente utilizzo spesso il concetto del “nero” come abito che indosso molto spesso. A volte, tanto è l’abitudine a vestirmi completamente di quel colore perché “il nero sta bene su tutto” dico scherzando che dimentico come esistano anche altri colori. Alla stessa maniera, essere abituati a vestirsi di infelicità è convincersi che non esistano altre possibilità di vivere, invece la vita sa essere tanto e tanto se solo guardassimo oltre l’abitudine.
d. Incontrarsi nelle parole è un invito a sparire dalla vista o ad entrare nella tua collezione di sguardi?
r. Più semplicemente, vuol dire deporre le armi e parlarsi chiaramente, che sia per uscire o che sia per entrare nella vita di qualcuno. Come ho detto all’inizio, la parola è uno strumento potente ma per essere tale, la condizione è di essere vera.
d. Inizialmente tu sei l’ombra che calpesti fin quando cerchi e trovi il coraggio di alzarti sui tuoi piedi e abbracciarti. Il senso della vita è scritto nell’amore, questo vogliono dire i tuoi versi?
r. Recentemente ho scritto questi versi:” sono le persone a sparire, non l’amore”. E non parlo di amore di coppia, intendo l’amore universale, quello che non sparisce quello di cui Anais Nin, una delle scrittrici che hanno segnato il mio percorso culturale e personale, parlava “le persone non le puoi cambiare, le puoi solo amare”. La soluzione è nella scelta tra le azioni di amare, di amarsi o lasciarsi amare.
Lucia Pulpo

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