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Cosimo Attanasio sulla strada per Mosul

Cosimo Attanasio sulla strada per Mosul

atttanasio-cosimo Ripercorrendo la strada della liberazione dalla presenza devastante delle milizie del sedicente Stato islamico s’incontrano macerie e fumo.
Il fumo dell’incendio dei pozzi petroliferi numerosi qui, in Iraq. Un territorio che galleggia sul petrolio, a questo deve la sua ricchezza economica e la sua importanza strategica che lo ha trasformato nel bersaglio di interessi ed egoismi sfrenati. Ragioni coperte da bandiere sventolate minacciosamente in nome della religione e della tradizione con cui si giustificano la distruzione di moschee di culto simile a quello delle milizie ma di accento diverso.
Guerra.
Fratelli, bambini, futuro… parole disperse nel cielo e soffocate dal fumo che continua ad alzarsi dai pozzi in fiamme, accesi, all’inizio dell’estate, dai combattenti dell’Isis (o Is) per rallentare l’avanzata dei nemici.
Dopo tre mesi (circa) dalla riconquista di Qayyara da parte dell’esercito iracheno, il dato visivo più evidente e inquietante sono i fumi e le fiamme che si alzano al cielo e richiamano l’attenzione del fotoreporter Cosimo Attanasio.
Soffocanti sono le immagini dei 3 pozzi (2 fiammanti, il terzo già domato) al centro della città di Qayyara a circa 60 km a sud di Mosul. 12 sono i pozzi che bruciano nel circondario.
La chiamano città, un villaggio dal diametro di 3 km, alla periferia una discarica dove giocano i bambini e dove sii trovano ossa e scheletri umani buttati come rifiuti in mezzo ad altra polvere.
Nessuna impressione, i bambini corrono sopra tutto e sono socievoli sopratutto con gli stranieri a cui rivolgono gli occhi curiosi e fanno gesto di V con la mano, un saluto meccanico ma pur sempre saluto .
Bambini che non hanno palloni o bambole per giocare ma alcuni maneggiano fucili-giocattolo fedeli riproduzioni di M-16 usati nell’esercito americano.

La presenza di giornalisti e fotografi stranieri non passa inosservata, così bambini arrivano fra polvere e sassi di strade sterrate e malmesse, non chiedono nulla ma, probabilmente, capiscono l’inglese, qui parlato da diversi adulti che lavorano anche indirettamente con le compagnie petrolifere.
Malgrado la guerra ci sono molti piccoli bazar, piccolo commercio ma quanto basta per non lasciarsi andare fra odore di bruciato e fuliggine negli occhi.
L’acqua è quella del vicino fiume Tigri, mancano le strutture ma la materia prima abbonda.
La maggior parte delle donne indossa”hijab”, il velo che lascia scoperto il viso e si lasciano fotografare, anzi le più giovani si mettono civettosamente in posa. Ritrose sono le poche che portano il “niqab”, il velo integrale, secondo Attanasio, lo fanno anche per motivi di sicurezza perché magari hanno qualche familiare stretto che combatte contro gli estremisti islamici.
L’atmosfera richiama quella del nostro dopoguerra, con la voglia di ricominciare e la musica per le strade; melodie locali che re-interpretano il rock occidentale con “arabeschi” musicali da “mille e una notte”.

Bambine a scuola a Qayyara.  Foto di Cosimo Attanasio

Bambine a scuola a Qayyara.
Foto di Cosimo Attanasio


Cosimo ci racconta del suo incontro casuale per strada con un insegnante d’inglese fiero dell’imminente riapertura della scuola elementare del villaggio. ”Bisogna tornare presto alla normalità” è questo il motivo che muove il dirigente scolastico a riaprire la struttura chiusa ormai da 2 anni.
Mancano le porte, qualche finestra, niente luce o gas, ma l’edificio è ancora in piedi e ci sono 4/5 maestre disponibili alla riapertura senza stipendio. In un Paese dove la dispersione scolastica è alta perché i bambini aiutano le famiglie col proprio lavoro, aprire la scuola serve a segnalare un’alternativa ed è un segno della vita che riprende a germogliare.
Nelle vicinanze i miliziani avevano istituito campi d’addestramento e arrivavano bambini da tutto il Paese. La scuola è un’alternativa anche per chi ha già imparato a combattere e crede che quella sia tutta la vita.
I banchi, le sedie si trovano, magari presi dagli ex presidi militari,la nota sorprendente sono gli alunni festanti. Sprizzano entusiasmo correndo felici sui ballatoi della scuola.
Un fiume che travolge Attanasio e la sua collega che entrano al primo suono della campanella per vedere i bambini felici con zainetto o cinghia con i libri o solo con un sorriso inebriante stretti vicini al compagno con cui magari si divide la stessa sedia.
4/5 classi divise, maschi da una parte e femmine dall’altra.
La scuola rimane aperta a cavallo fra due momenti di preghiera, aperta alle correnti d’aria, precaria con banchi claudicanti e gessi improvvisati, ma c’è per tornare a tessere il futuro.

Lucia Pulpo
Foto e testimonianza di Cosimo Attanasio

Attanasio con scolari di Qayyara

Attanasio con scolari di Qayyara

13 Comments on "Cosimo Attanasio sulla strada per Mosul"

    ogni tanto fa piacere leggere una testimonianza diretta senza filtri della propaganda o dei grossi media, che spesso hanno degli interessi da tutelare tramite veline fastidiose

    Ciao Nicola, questo racconto riguarda principalmente QAYYARA. La testimonianza di Cosimo è più articolata e ben documentata dallle numerose foto che smentiscono racconti che ho letto sul web…

    Cara Lucia, Ti chiederei, contando sulla Tua generosità, di parlarne ai miei Alunni, quando vuoi. GRAZIE e buon anno di VERITA’ ed IMPEGNO

    Salve prof! La metto in contatto con Cosimo, ha tanto altro da raccontare ma è lui ad essere andato… non io.

    Valerio, le foto che mi ha mostrato Cosimo sono tantissime: i bambini che giocano con i fucili, i medici che operano nell’ospedale senza luce col telefonino come torcia, un funerale lì, il campo profughi con i sacchi del mercato nero, uomini che prendono mattoni da un edificio semi-crollato per riutilizzarli o venderli…oltre i pozzi in fiamme e donne e bambini per strada… proprio interessanti!

    Bellissimo!Ringrazio la mia amica Delia, che me lo ha girato e l’autore e fotografo Cosimo Attanasio che, nelle rovine della guerra, coglie una invincibile positività da parte dei bambini e rgazzini- come ben evidenziato dalla foto – che è il segno della ripresa della vita.E grazie Lucia Lupo per aver pubblicato questo articolo!

    Farò leggere questa testimonianza alle mie figlie che, pur essendo brave, non si rendono conto del privilegio che hanno. Questi ragazzi non vivono l’infanzia con la spensieratezza dei bambini dei paesi industrializzati…e non è giusto.

    Sì Raffaella, infatti diverse insegnanti hanno proposto a Cosimo di parlare agli studenti, a scuola, di quanto visto e vissuto fra la gente “in guerra”.

    Bello e chiaro l’articolo, straordinaria la foto in basso per l’incredibile forza e speranza che traspare dai sorrisi di quei bambini che nonostante tutto il male che li circonda hanno ancora voglia di ridere e gioire della vita. Sarebbe bello che il loro sorriso si diffondesse trasformando la guerra in pace, l’odio in amore!

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