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Manifesto sulla violenza nel mondo. “La frontiera” di Alessandro Leogrande

Manifesto sulla violenza nel mondo. “La frontiera” di Alessandro Leogrande

0-00-leo “In un pomeriggio assolato entro nella chiesa di San Luigi dei francesi. (…)Così mi ritrovo incantato a guardare IL MARTIRIO che come sempre cattura i miei pensieri ancora più della VOCAZIONE. In quella scena di cruda, assoluta,improvvisa violenza si affollano le nostre debolezze di fronte al mistero del male. Tra le pieghe dell’opera si cela l’enigma del non agire.
C’è un vecchio steso a terra, la barba grigia, i capelli stempiati, sembra essere scivolato pochi istanti prima. È Matteo. Ha una mano alzata verso l’alto cerca di parare il colpo che sta per arrivare. Ma il polso, lo stesso polso che sostiene la mano aperta, è afferrato dalle dita del sicario.
(…)La violenza estrema atterrisce. Atterrisce la sua epifania priva di alternative. Al massimo si grida, si scappa, ma raramente si è pronti a intervenire.
Così Matteo, la vittima, tra poco verrà finito. Da oltre quattrocento anni, per ogni sguardo che si pone sul dipinto, sta per essere trucidato. Manca una manciata di secondi. La vittima, in fondo, sa come andranno a finire le cose.
Ma non è il solo. Nell’intreccio di sguardi che tiranro insieme il quadro, ci sono innanzitutto gli occhi della vittima e del carnefice, incrociati fra di loro e immensamente diversi. E, in secondo luogo, quelli di ripulsa, panico, indifferenza inebetita di tutti gli astanti, che convergono verso il centro, tanto quanto le onde della violenza esplodono verso l’esterno. Ma poi ci sono anche gli occhi di un uomo con la barba.

È alle spalle del sicario. Si trova alla sua destra, qualche metro più indietro. Guarda Matteo a terra e anche lui sa perfettamente cosa sta per accadere.
Quell’uomo, come dicono tutti i testi critici sul dipinto, è Caravaggio. La porzione in cui compare il volto barbuto è un autoritratto. Eppure più che un’immagine di se da consegnare ai posteri, nella penombra della chiesa rotta dai faretti quella porzione di tela mi sembra un manifesto. Una riflessione incandescente sulla violenza del mondo, e sul rapporto che instaura con essa chi la osserva.

C’è un dolore misto a commiserazione nel suo sguardo: : un’infinita tristezza. A differenza degli altri spettatori Caravaggio non fugge, guarda la vittima perché non può fare altro che stare dalla sua parte e vedere come va a finire ciò che si sta per compiere. Ha già intuito tutto, ma non interviene.
Sa di non poter intervenire, di non poter fermare quella spada. La sua commiserazione è ancora più dolorosa perché totalmente impotente. La lucida interpretazione dei fatti e ancora di più il genio dell’arte, non arresteranno il massacro.
Può solo provare pietà.
Dipingendo il proprio sguardo, Caravaggio definisce l’unico modo di poter guardare all’orrore del mondo. Stabilisce geometricamente la giusta distanza a cui collocarsi per fissare la bestia. Dentro la tela, manifestamente al fianco delle cose, non fuori col pennello in mano.”
Alessandro Leogrande
La frontiera
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1 Comment on "Manifesto sulla violenza nel mondo. “La frontiera” di Alessandro Leogrande"

    Bellissima pagina sulla violenza di Leogrande ma anche sul capolavoro di Caravaggio … il quale “non ha “uguali”.

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