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Lo scontro a Peitrasanta – Capitolo uno

Lo scontro a Peitrasanta – Capitolo uno

mia isola
Il sipario si apre con un risveglio estivo e solerte, forzatamente immediato, un delicato rin-savimento col sole negli occhi perché, Ippolita ha lasciato la tapparella semi-aperta con la speranza di passare una notte al fre¬sco, senza sudare assalita da cattivi pensieri.
Il traghetto parte puntuale alle nove, non ammette ritardi per il traffico, sul biglietto la paro¬la “puntuale” è sottolineata, ed ha il suono dell’allarme della sveglia che strilla richiamando la ragazza a rapporto sui suoi doveri… per divertirti in questo viaggio devi rispettare le re¬gole: “Alzati e cammina”.
Il programma del giorno è all’insegna del profumo della felicità della vacanza, e la fragran¬za essenziale di questo elisir è la libertà di poter fare qualunque cosa qui e subito, un pre¬sagio di onnipotenza a patto di salire su quel traghetto all’ora prestabilita.

“C’è tutto: panini, tovaglioli, bicchieri, crema solare, il giornale della settimana scorsa… ah, gli asciugamani… Ippolita prendili tu, sbrigati”.
“Sì mamma, calmati che non ti morde nessuno squalo.”
“Tua figlia è brava a perdere tempo, come se fossimo soltanto noi due a dover andare a mare.”
“Papà abbiamo tutto il giorno per bruciarci al sole, lasciami un’oretta per controllare le mail, prendiamo il traghetto successivo con più relax!”
“Parole inutili. Ti sei alzata andiamo. . i pesci non aspet¬tano e l’esca puzza se rimane nel barattolo… Ti lamenti, però poi mangi con gusto quello che prendo.”
“Mangio con gusto anche quello che compri in pescheria!”
“Su, ho preparato tutto io. Amore prendi le chiavi di casa, del garage, della mac¬china e il borsello con i documenti e le tessere. Tu, Ippolita, chiudi la serranda in camera tua, hai qualcosa da mettere in borsa?”.
“Il telefono molecolare lo appendo al collo, ora metto gli occhiali e un costume sarà rima¬sto in cabina, mi cambierò lì.”
“Non hai misurato un costume? Ma che razza di donna sei? Tu non sei figlia mia, devono averti scambiata nella culla. Comunque ti ho comprato io un costume, lo sto portando col pareo adatto e il fermaglio color verde lucente che richiama le sfumature del disegno.”.
“Cara mamma, solo la paternità può essere incerta! Un attimo, il rossetto. Ecco fatto, Eter¬nity per labbra sem¬pre perfette”.
“Saresti capace di girare in mutande bucate da barbona maiestatis ma con le unghie smaltate di blu. Che fenomeno da ba¬raccone!”
La famigliola si avvia verso una giornata di sale, sole e sabbia.
Riescono a salire sul tra¬ghetto con 40 minuti d’anticipo, il tempo necessario per scegliere quale seggiola riscaldare nei 20 minuti necessari al traghetto per raggiungere l’isola dove ha messo le radici lo sta¬bilimento balneare.
Ippolita resta seduta fino alla partenza, dopodiché si erge come ad assaporare il vento che corre col traghetto e insieme solcano le acque scintillanti del nuovo giorno.
Non è l’ebrezza dell’avventura che cerca, piuttosto un campo libero per il suo “megafo¬no” molecolare. Ma¬gari qualcuno la cerca e si dispera perché lei non sta ricevendo nem¬meno il suo avviso di chiamata. Il segnale c’è, il campo è libero e l’orizzonte sembra dive¬nire più esteso con un cielo più assoluto e un pavimento meno solido ma senza traffico.
Nemmeno un messaggio con fotina, niente vibrazione di uno squillo, nessuno smile con firma, e ancora non si attracca come se l’attesa non dovesse essere interrotta nemmeno da una promozione pubblicitaria.
L’isola si vede, un lembo di terra che si tuffa nel mare dolcemente, mentre l’ombra fresca e profumata dei suoi pini si proietta sulle acque dai riflessi verdi che incorniciano il quadro stile tropicale.
Il tropico del Mediterraneo, famoso per i suoi venti di scirocco e tramontana, l’un contro l’altro armati; cor¬renti d’aria che agitano e mescolano anche i flussi marini ottenendo un cocktail di pesci e mitili diversi per sapore e forma ma copiosi nella riproduzione sponta¬nea o addomesticata che sia.
Ippolita sarebbe contenta d’arrivare in poco tempo, prima che l’alito del dio Eolo le impregni i ca¬pelli di salsedine umida. Lei i capelli li stira sempre, anche in vacanza, per assomigliare al proprio avatar di “another file”, che ha disegnato con capelli lisci e lucenti. La brezza mari¬na con la scusa di accarezzarle la testa arriccia i capelli e li consuma costringendoli ad ap¬pannatissime doppie punte in disaccordo col modello proiettato e inseguito on-line.
Lo stabilimento si srotola su un lato dell’isola, un litorale accessibile dopo una passeggiata di due minuti e tre passi, però il sentiero è rustico senza asfalto con polvere ed erbette fra sassi e buche.
Per guardare a terra, la ragazza non si distrae nella conversazione con altri passanti, salu¬ta appena senza distogliere lo sguardo, deve essere sicura di non rovinare lo smalto delle unghie dei piedi, una caduta potrebbe causare il salto e la rovina del lucido dei suoi artigli. Mentre procede per la sua via, cade una grossa pigna proprio vicino al suo piedino e spa¬ventata dall’evento, con tutte le sue ansie, sobbalza addosso ad Aiace che sta passandole accanto.
Lui colpito e allettato dalla sorprendente occa¬sione di salutarla e ri¬volgerle la parola, pro¬prio a quella ragazza sempre assorta nei suoi pensieri che non rega¬la il suono della pro¬pria voce; Incoraggiato dal sole splendente che, ancora, non offende le superfici con raggi insopportabilmente caldi e soffocanti, l’audace incantatore di grilli sfo¬dera un sorriso a trentadue denti e una carie, al quasi-grido: ”Buongiorno!”
“Mi scusi, la pigna mi ha colpita di sorpresa, non l’ho sentita arrivare”.
“Ti riferisci a me?”
“No. Devo andare aspetto una telefonata, cordiali saluti”.
Qualche passo più indietro i genitori d’Ippolita sorvegliano i gesti dei due protagonisti, la fi¬glia è poco socie¬vole ma non è bene che rivolga la parola a chiunque investa nel suo cam¬mino.
“Tutto a posto? Ci vediamo in cabina?”
“Sì, il percorso è quasi finito, mi fermo al sole per un reset generale. Comunque ho il con¬trollo di tutte e dieci le dita”.
Aiace invece rimane perplesso, lei non vuole far vedere ai genitori che sa parlare con gli estranei, oppure l’e¬straneo con cui non vuole parlare è lui solo?
Allora pensa di rallentare e di co¬gliere la ragazza sola al sole. Pensato e fatto, con i paren¬ti lontani le si avvicina, ma in¬ciampa e le cade fra le braccia
“Scusa, ora tocca a me essere salvato!”
“Perché hai visto una vipera? Dicono ce ne siano molte in pineta e su tutta la zattera gal-leggiante”.
“Tu avresti l’antidoto?”
“No, ho un veleno più potente di loro per sterminarle”.
“Intanto potresti salvarmi dall’impatto col suolo”.
“Hai bisogno del salvagente, stai qui e non sai nuotare?”
“Va bene, rincominciamo: buongiorno, buona giornata!” e guarda la bella addormentata aspettando il suo sa¬luto di rimando, intanto lei riprende i suoi pensieri e raggiunge i genito¬ri.
“Ciao Aiace, bella giornata, speriamo che l’acqua non sia troppo fredda per calarci dentro e lavarci il manto erboso cresciuto sul petto?”
“Ciao Silvano, ho già messo i piedi a mollo… il mare oggi è uno spettacolo, cristallino, da bere… un pochetto salato e gelido ma una meraviglia per lo sguardo”.
“Insomma dovrò accontentarmi d’una passeggiata con le ginocchia a pel d’acqua e le braccia a pelle di gallina”
“Chissà, magari il tuo termometro è diverso dal mio, e fra un paio di clessidre si scalderà l’acqua vicino la riva”.
“Hai sempre pronta la parola giusta, voglio fidarmi, comunque se mi dovessi ibernare, mi avrai sulla coscien¬za a bloccarti la digestione! “
I bagnanti sfilano davanti al nostro eroe, chi con borsoni ripieni di vettovagliamento per una truppa numero¬sa, chi col cestino di paglia decorato con specchietti e campanelli ru¬morosi, chi ha sacche di plastica colorate e trasparenti per mostrare i teloni mare in ante¬prima.
La compagnia marcia verso il bar ma il nostro eroe continua a pensare a miss so¬cialità ai suoi bei sandali, alla sua canottiera sopra i pantaloncini aderenti e ben cuciti.
La stradina è sconnessa fino al bar dal quale proviene un aroma di caffè e cornetto che s’insinua nelle radici fino a colpire giù dritto allo stomaco che implora: ”Pietà, un assaggio”.
La fame non è di calorie, questo distur¬ba Aiace, gli toccherà ritentare l’abbor¬daggio della galea in pantaloncini e sandali.
Il punto essenziale è che la galea si dispiace di non essere stata abbordata perché il capi¬tan Fracassa non è tanto malandato, un sorriso tipo Lupo Alberto che ispira la stessa sim¬patia, sì un tipo da fumetto in tema con la stagione estiva e spensierata.
Passato il bar è la volta delle cabine in muratura bianca con le porte di legno azzurre rico¬perte dalle fronde dei pini piantati vicino. All’isola si accede con la tessera, a ogni tessera è legata la chiave di una cabina, in ogni cabina ci sono tre famiglie, due appendi abito e un panchetto per poggiare le borse lontane dal contatto con le formiche.
“Aspetta, non entrare dentro c’è la signora Pia”.
“D’accordo, papà, vado a sedermi al bar, ho bisogno di riprendermi con un caffettino mac-chiato… dammi le palanche.”
“Certo, ma non è colpa mia. Perché la multa debbo pagarla io? Tieni”
Davanti alle cabine c’è un piano di sabbia sottile, terra e aghi di pino, subito sotto la spiag¬gia con conchiglie ed ombrelloni.
Probabilmente questo Ippolita lo sa, ma non si cura del panorama, l’aria ancora frizzante le stimola un unico desiderio caffè con mezzo cucchiaino di zucchero per non attrarre api e mosche di stanziamento al bar.
Aiace seduto sul don¬dolo alla fine delle stanze in muratura friabile, porta le sue riflessioni oltre la linea dell’oriz¬zonte per annegarne la pesantezza. Da quella postazione si vede un po’ di mare, un po’ di cielo e un po’ di terra, perché a quella latitudine il mare non è del tut¬to aperto all’abbraccio col cielo, c’è la punta del golfo che spunta fra i rami dell’albero più prossimo.
Il giovanotto la vede, vorrebbe dirle “Bentrovata, o bentornata, o chi si rivede, o ancora tu?” ma lei lo anticipa con un sorriso a labbra strette e lui non sa cosa rispondere; mecca¬nicamente si alza mettendosi sull’attenti e la segue per qualche passo, in parte allucinato dal suo naufragio emotivo, ma non è il caso d’insistere o lei si sentirà placcata.
Nessuno fa caso all’esplosione d’ormone che si è innescata, lui ha gli occhiali da sole scuri che riparano lo sguardo da investigazioni indiscrete e lei risponde al molecolare sedendosi disinvoltamente al tavolo più piccolo con un’unica sedia.
“Ciao Aiace, hai già fatto colazione? Coffy con me?”
“No, grazie capo Marzio, già preso dieci minuti fa. Devo tornare al lavoro se qui la situazio¬ne è tranquilla”.
“Sì, oggi ci sono poche anime, la giornata è bella chissà come mai non c’è il pienone”.
“Il venerdì è sempre stato tranquillo a Peitrasanta, in compenso il sabato e la domenica non si respira per la calca di corpi scalcianti che scendono dal traghetto con la sola idea di fare quello che non è lecito fare come fumare sotto gli alberi, spostare gli ombrelloni per mangiare verso l’entrata al fresco o passeggiare oltre i limiti della spiaggia, snobban¬do il mare, il nuoto e il rilassamento delle sdraio adagiate sulla sabbia e rivolte verso lo spet¬tacolo del cielo che si specchia nel mare”.
“Vai a lavorare, che fai troppe chiacchiere e spaventi la clientela dicendole che qui non è benvenuta!”
-Se avessi detto che poca gente porta pochi soldi mi avrebbe rimbeccato con meglio pochi ma buoni. A volte non vale la pena parlare che rigirano tutti la frittata-
Il pensare del ragazzo s’intuisce dal repentino silenzio con cui si avvia verso la banchina senza ri¬volgere nemmeno uno sguardo verso Ippolita che, invece, sorveglia i movimenti dell’in-consapevole lupo blu.
Al mattino la spiaggia è un incanto, la sabbia composta su una superficie quasi liscia come fosse stata spalmata da una manona attenta a non lasciare impronte digitali sulla sua ope¬ra; il bagnasciuga luccica di sabbia bagnata e non calpestata ed affiorano persino conchi¬glie piccole ma intere e telline sfrontate ed incaute. La riva appare più grande nella solitu¬dine della prima ora d’apertura dello stabilimento, ombrelloni chiusi, poche sdraio come se la canzone fosse già finita, ma i musicisti stanno arrivando.
I primi sono quelli più giovani, corrono, qualcuno col pannolino dritto in acqua per la dispe-razione dei fratellini maggiori rincorrono più volentieri la palla piuttosto che i mocciosi te¬stoni. Subito dopo arrivano sedie, lettini e lenzuola-mare portati da improvvisati venditori ambulanti che vorrebbero barattarle aggiungendo in optional le proprie mogli e la prole, almeno per poter leggere il giornale senza il fiatone causato da quel trasloco. Infine arri¬vano le Veneri avvolte da veli trasparenti o doppi a seconda dell’età, dee e sirene ten¬tate dalla voglia di sguazzare felici fin dove si mette piede, scelgono di portare a spasso la nuova pettinatura ondeggiando maliziosamente a tre bracciate dalla sabbia asciutta.
“Ippolita hai messo la crema? Potresti spargerla sulla mia schiena?”
“Mamma… mi ungo le mani e poi s’appiccica la sabbia…”
“L’acqua è lì, ti sporchi e ti vai a lavare, tieni!”
“Uffa, va bene, ma io non mi metto addosso odori che attirino gli insetti”.
“Fa come vuoi, se preferisci bruciarti, a casa non voglio sentire lamentele qualunque parte ti scotti con bolle e croste dell’ultimo stadio di calcio”.
“Intanto mi è arrivato l’avviso di una mail all’indirizzo più personale”
“Allora velocizzati ad idratarmi la schiena, prima finisci il lavoro e poi perdi tempo appresso il computer”
“Il tempo lo perdo appresso la tua cremina, ma che te lo spiego a fare? Tanto rimani sem¬pre con le tue superstizioni”
“Dottoressa senza titoli, devo vedere cosa concluderai con il tuo equipaggiamento elettro¬nico”:
Aiace ha girato dal lato che guarda la città, lontana non troppo, basta allungare l’occhio per distinguere i palazzi del Lungomare, la Rotonda, qualche autobus, le macchine no, al¬meno quelle scompaiono distanti come due secoli fa.
Peitrasanta è l’ultimo pezzetto di terra emersa nel golfo di Diossinolandia, la colonia risa¬lente all’età del ferro, che conobbe la sua massima espansione con la lavorazione artigia¬nale della materia prima trasformandola in acciaio ma caduta e mai più ripresa con l’av¬vento del Made in Cina.
Il verde rigoglioso e spontaneo che germoglia in queste lande è favorito dalle fondamenta argillose impregnate d’acqua miracolosamente dolce che sgorga in prossimità della costa, e si manifesta con tipici gorgoglii in “Là maggiore”.
Queste fonti un tempo alimentavano anche i fiumi sulla terra emersa, ma non siamo più ai tempi del ferro, ora c’è la plastica che sotto forma di sacchetti arriva dalla città, attraversa il mare burrascoso e scontroso, per portare la civiltà evoluta in ogni angolo del globo.
Questa civiltà arriva a Peitrasanta e non torna mai indietro.

10 Comments on "Lo scontro a Peitrasanta – Capitolo uno"

    Bello. Torno indietro negli anni, entro nel vostro linguaggio. I personaggi entrano spontaneamente nel lettore e così i paesaggi, belli e nitidi attraverso lo sguardo dei protagonisti. Grazie. Giuseppe

    Lucia, come un buon caffè che si apprezza solo se lo si sorseggia assaporandone l’aroma, ti posso dire che ho letto la metà del 1° capitolo. Che dirti? Riesci sempre ad entusiasmare con la tua prosa mai banale nemmeno in un solo “periodo”. Le tue “descrizioni” sono dei quadretti “dipinti a colpi di penna”. E, come dici, avendolo io, cominciato a leggere in spiaggia, mi sono ritrovato, catapultato nel “clima”.

    Lucia, stai andando “in crescendo”. Questo 1° capitolo che tu riproponi è stato bello; il secondo molto interessante ed il terzo molto “intrigante”: Dove ci farai arrivare?. Grazie Lucia e buon ferragosto a te e famiglia e … permettimi a tutti i lettori ed amici che ti seguono.

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