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Invisibile è la tua vera Patria. Intervista a Giancarlo Liviano D’arcangelo

Invisibile è la tua vera Patria. Intervista a Giancarlo Liviano D’arcangelo

 L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” e “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.” Così recita la Costituzione italiana. Ma la disoccupazione aumenta e molti vanno a cercare un lavoro qualunque, lontano dalla propria vita e, forse addirittura estraneo ad essa.Da due giorni è arrivato in libreria un saggio che fotografa la situazione italiana: “Invisibile è la tua vera patria. Reportage del declino. Luoghi e vite dell’industria italiana che non c’è più”. Ne parliamo con l’autore Giancarlo Liviano D’Arcangelo.

                                                                                                      Di Lucia Pulpo

Nel titolo del suo libro, a chi si rivolge, quale dovrebbe essere la patria e perché quella attuale è invisibile?

Il titolo del libro è una libera rivisitazione di Dora Markus, una poesia di Montale. L’ho scelto perché era straordinariamente evocativo sullo scopo narrativo che mi prefiggevo, raccontare le storie di luoghi e persone chiave nella storia industriale di questo paese. La patria è invisibile perché noi siamo abituati a una versione della grande storia nazionale ufficiale, che ci parla della modernizzazione in chiave unidirezionale, illustrando gli interessi di pochi come interessi collettivi. Visitando i luoghi e soffermandosi sulle storie passate si capisce che non è così, e che la storia è un magma, una materia che va analizzata da mille angolazioni diverse, con tutte le sue controversie.

Lei ha viaggiato nelle fabbriche d’Italia con l’intenzione di raccontarle? Le differenze maggiori sono fra le fabbriche (intendendo come sono gestite), fra i lavoratori (più o meno disponibili a farsi sfruttare) fra le vecchie idee di produzione oppure non ha trovato differenze fra le esperienze che ha avuto nelle diverse strutture di produzione?

Il mio viaggio ha affrontato strutture produttive molto differenti in periodi storici molto diversi. è un vero è proprio viaggio letterario alla maniera di Sebald, grande autore tedesco che prima di morire ha raccontato la storia della distruzione in Europa. Ciò che emerso è che alle ovvie diversità specifiche di ogni struttura produttiva, (cotonifici, miniere, siderurgia, parchi gioco, linee produttive di apparati tecnologici non possono che avere un’organizzazione specifica differente) corrispondono macro-regole immutabili insite al capitalismo, riconoscibili  a parer mio in un’evoluzione sempre costante: una fase pioneristica virtuosa in cui capitale e lavoro s’incrociano negli interessi comuni, una fase di assestamento in cui gli interessi del profitto iniziano a divenire dominanti, e una fase di crisi dovuta alla saturazione dei mercati e all’esigenza di ampliare sempre i margini di profitto. Oggi, con la tecnologia che si sostituisce all’uomo e con le regole di 50 multinazionali che governano le regole del mercato e della produzione a loro immagine e somiglianza e molto difficile ipotizzare dei miglioramenti.

Secondo lei qual’è il problema che rende invisibile la patria e come andrebbe affrontato?

Purtroppo in tutto il modo occidentale e in particolar modo nel nostro paese, le strutture produttive più importanti, la grande borghesia capitalista e la rete mediatica nazionale coincidono perfettamente. Il punto di vista sulla realtà ormai condiviso è il loro, il loro è l’approccio all’economia, alla produzione, alla gestione delle risorse. Io da scrittore non posso, non devo guardare il mondo avere il loro punto di vista, quello del potere, ma devo essere il più possibile oggettivo. Il problema si risolve solo nel singolo, prendendo coscienza di se stessi nel mondo, leggendo, aumentando la coscienza critica. 

In particolare cosa ne pensa dell’Ilva, in questi giorni galoppano ipotesi fra chiusura ed esproprio, andati via i Riva si riuscirà ad avviare il risanamento o l’unica possibilità concreta è il fermo della produzione e la chiusura definitiva dell’impianto. E così invisibili non diverrebbero i troppi disoccupati?

L’Ilva è una grande storia di pessima gestione delle risorse da parte del potere, e storicamente a errori marchiani sono seguiti altri errori. Non se ne esce se non prendendo coscienza che la rivalutazione del territorio è un problema di comunità a livello nazionale e come tale va affrontato. Non ho soluzioni semplici a portata di mano, sarei presuntuoso, posso solo dire che per una volta sarebbe bello, centrare il focus del problema, cioè il territorio e la gente che vi abita e salvaguardare gli interessi più importanti, cioè salute e sostentamento, più che gli interessi politici e del capitale.

Lei ha iniziato a scrivere con un romanzo che parlava di un reality show dove il premio era un bel funerale, mi sono sempre chiesta se fosse una metafora di quanto è avvenuto a Taranto dove il posto nel siderurgico era un aspirazione…c’era già questo motivo nel suo lavoro?

Purtroppo l’era industriale – consumistica intesa come pensiero unico non lascia alcuna libertà all’essere umano, se non quella, appunto, di consumare. Anche i valori e le aspirazioni personali sono indirizzate al consumo di bisogni inutili e indotti dall’alto. L’unico modo di sostentarsi è accettare in toto questo modello, e la prospettiva di uno stipendio certo, sicuro, prevale sulla paura di una malattia quasi certa, ma nel futuro. Nel mio lavoro, che mira al massimo dello svisceramento delle cose umane, la morte è presente in quanto tema assoluto, come l’amore.

Poi ancora una storia di morte “trafugata” come le ceneri di Mike Bongiorno… lei è uno scrittore col gusto per il noir?

Direi di no, il noir lo lascio volentieri ai giallisti, anche perché ce ne sono così tanti che non mi sognerei mai di rubar loro il lavoro. Il mio obiettivo è piuttosto di analizzare eventi e storie significative della realtà per trarne i significati umani, il magico, il bello e il tetro, il cupo e l’edificante, tutto ciò che è più squisitamente umano.

Ha definitivamente abbandonato il romanzo a favore di saggi di approfondimento della Realtà, come questo che sta uscendo per il Saggiatore?

Assolutamente no. Anche nei saggi che ho scritto finora la componente narrativa è quella predominante, quella a cui tengo di più, anche linguisticamente. Al romanzo puro tornerò presto, ma ora sulla pelle sento questa scrittura che pesca a piene mani dalla realtà, si sporca e si purifica nella lingua e che mi permette di provare a raccontare l’Italia come paese tra i più complessi del mondo.

Pubblicato su Cosmopolismedia il 2/6/2013

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