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Il ballo dei tarantolati

Il ballo dei tarantolati

Nei paesi del bacino mediterraneo, in particolare Spagna e nelle provincie pugliesi, fino agli anni ’70, c’era una tradizione popolare che legava la musica e il ballo a credenze religiose di derivazione pagana volte alla ricerca di salute e benessere. Una specie di antica terapia biofisica per scacciare gli spiriti maligni dall’organismo umano tramite l’uso terapeutico della musica e dello sfinimento corporeo con movimenti liberatori dall’oppressione psichica ovvero dalla melanconia. Secondo la leggenda il male scaturirebbe dal morso della Tarantola, un ragno assimilabile a Lycosa tarentula che proliferava nei canneti. L’etnologo Ernesto de Martino, nel suo insuperabile “La Terra del rimorso”, ha chiarito che, in realtà, l’aracne dei tarantolati è un simbolo, un animale immaginario. Cosa molto credibile se si considera che i “pizzicati” erano giovani, in prevalenza donne nubili in età da marito, e il misfatto accadeva sempre all’inizio dell’estate la cura aveva effetto di un solo anno e andava ripetuta ogni anno finché la Tarantola non moriva. La vittima del morso sentiva se il ragno fosse morto, o meglio era l’umore suo stesso ad annunciare il suo ritorno alla vita. Inoltre la specie “assassina” veniva riconosciuta tramite i movimenti fatti dall’avvelenato durante il ballo, così si potevano distinguere: la “taranta libertina”, la “taranta d’acqua”, la “taranta tempestosa” e la”taranta muta e triste”. Quando una persona mostrava sintomi inequivocabili come stanchezza, tristezza e tendenza alla solitudine i familiari le proponevano di sottoporsi al rituale del ballo dei tarantati. La credenza era legata all’ignoranza e alla superstizione popolare infatti non ci sono testimonianze di adesione da parte di persone colte o semplicemente abbienti. La scena si svolgeva a casa dell’infelice dove i familiari facevano convenire gli amici e i musicisti. Lo strumento fondamentale era il tamburello spesso accompagnato da chitarra e violino. La camera principale era svuotata, solo una fune la percorreva con appesi fazzoletti e scialli colorati e gli oggetti più cari al “malato”. Quando il tamburello iniziava a battere il penitente iniziava a muoversi, i passi erano sempre più frenetici e concitati, incalzati dalla musica dal ritmo veloce in crescendo. Il ballerino non seguiva una coreografia, per questo i movimenti agitati sembravano movenze isteriche di un folle delirante con corse vorticose e salti sguaiati che, spesso, mimavano atti osceni come l’atto sessuale completato da gemiti ed urla. Il protagonista indossava le sue vesti migliori, oppure prestate, in seta ricamata. La danza durava tre o più ore fin quando il corpo non si addormentava sfinito ma poteva riprendere il giorno seguente. Il rito finiva sul luogo del morso dove si recavano in corteo i convitati portati dal tarantato che lì doveva schiacciare il ragno immaginario. Nel 1934 Saverio La Sorsa scrive: “ Tale cura rimonta ai tempi della Scuola Pitagorica che fiorì a Taranto quattro secoli avanti Cristo, e se ne trovano accenni in vari scrittori dei secoli posteriori.” Oggi non si registrano casi di questo tipo, chissà se siamo tutti sani oppure abbiamo più manie insieme.

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