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  L’INNAMORATO MARE

L’ho vista ieri sera, al calar della notte, dal più lontano punto della pianura delle Puglie, una linea di luci disseminate lungo il mare ancora rosato per il crepuscolo. Le onde, esauste per questo infrangersi su una riva che non oppone resistenza, non erano più stanche di quanto non sembrasse. Una stessa fiacchezza le allacciava l’una all’altra. È forse il suo nome voluttuoso nella sua sonorità che me la rende sì conturbante e suadente? La sua è la grazia di una gatta distesa, che a ciambella dolcemente sulla riva le membra setose e morbide nell’incanto dell’ora oziosa. E questa mattina, al sole, essa mi offre ancora la stessa impressione. Bisogna vederla, sul bordo della sua piccola baia, in fondo al golfo immenso al quale ha dato il nome; tutta adagiata, snella sulla sabbia, appena sporgente, e tenendo soltanto, fino all’infinito, la corona delle sue braccia: da una parte, il molo; dall’altra, le due isole che sembrano allacciate tra loro e alla terra, due braccia d’innamorata che si tendono per abbracciare il corpo dell’amante. La stretta di Taranto ad Anfitrite è di una tenerezza, di un amore senza eguali. Essa si fa così umile, così piccola, con il suo corpo puro di creatura confusa, dolcemente lasciva, dai movimenti lievi, come se avesse paura di intimidire, godendo dei suoi esitanti incantesimi!

Le sue grandi braccia sono così lunghe, così affusolate, e protese fino all’orizzonte, che accarezzano con la stessa lievità, con lo stesso riguardo, con lo stesso turbamento che proviamo noi che stiamo ad ammirare il suo fascino! Il suo piacere è intenso, pericoloso tra tutti, di animale in calore, dal sorriso eterno, di sirena dorata. Partenope ha lasciato le coste tirreniche per quelle dello Ionio dove c’è meno maestosità, ma un’aria più languida, una luce più velata e onde più gonfie. Il golfo di Napoli è grandioso, grazie a Capri così elevata ed altera che lo chiude, grazie a Miseno a alla punta di Sorrento così scoscese, grazie al Vesuvio così nobile, e grazie a quello sperone che è il Pizzo. Venezia, al Lido è diritta e i suoi campanili sono superbi. Altre città posseggono bellezze maschie o anche femminee. Questa è di una grazia perversa,tanto è adagiata! Tutto è basso, teso verso l’infinito. Tutto si distende per accrescere la superficie di contatto. E gli occhi si perdono nelle bianche profondità della riva e in quelle argentee del mare. Questa non è una donna, è una fanciulla inquietante vergine incantatrice, come quelle da cui Ulisse si salvò soltanto facendosi legare all’albero della sua nave. Si passerebbero giorni a guardarla, senza stancarsi; e sarebbe compiuta la missione da lei ricevuta di rovinare gli uomini. Lo spettacolo di Taranto è uno dei più appassionanti che mi sia mai stato concesso di vedere. Non credevo fosse possibile a un paesaggio di sprigionare ebrezza a tal punto. Questo è l’angolo sognato da giovani amanti estasiati, che si stringono le mani tutto il giorno-, e che chiedono alle cose di respirare, al pari loro, la beatitudine, sempre di più, sino all’impossibile. Questo, tuttavia, non è l’unico aspetto di Taranto. È solo quello che offre la riva del mare. Ma la città ne mostra un altro. In realtà, essa siede a cavallo sulle sue acque. Il suo piccolo golfo, in fondo a quello grande, è chiuso da una roccia che essa ha invaso, lunga e piatta, spigolo di una collina che il mare, per passare, ha tagliato in due punti. La parte interna di tale roccia guarda dunque un lago tranquillo, dove grandi navi vengono ad ancorarsi, attraverso uno stretto canale, sovrastato da una roccaforte. Così, Taranto domina due mari, uno libero che i suoi moli spingono verso il suo seno, l’altro interno che essa sorveglia da una banchina affollata. Da questa parte, si trova il porto pittoresco dei pescatori, con le loro casupole, il loro brulichio e i loro odori. La sua linea tuttavia, benché si sia anch’essa arrotondata, attinge qualcosa di sano da tale sordidezza. Questa faccia mostra la stessa dolcezza dell’altra, ma il suo colore è più forte. Ogni cosa è qui impregnata di una tinta bruna; le case strette e piccole fitte in un disordine senza allineamento, sembrano così essere coperte da un abito di panno chiaro, mosso dl vento e in cui le finestre rappresentano i buchi di quegli stracci. Un insieme miserabile, di una miseria anche sensuale per la sua pienezza, ma più rude, senza violenza ma senza perversione, come una zingara da trivio, ardente e flessuosa, abietta e sudicia, ma che morde e non ammette baci proibiti. Lo scenario marino è quello di un giardino troppo inebriaante che sconvolge i sensi troppo eccitati. Questo è il rovescio dello scenario, visto dal palcoscenico, con i suoi rattoppi e i suoi strappi. Taranto, da questa parte, non ha più niente di desiderabile per gli amanti che inseguono sempre più il piacere. Forse essa è più attraente per i cuori sensibili e senza amore, per il suo paesaggio limitato, così netto, la sua linea un po asciutta, sul lago tranquillo, il mare Piccolo, punteggiato dai due capi Pizzone e della Penna, e dalle bassee colline che assomigliano a dune. Tutto ciò ben delimitato, senza alcun eccesso di forme e sotto una luce tenue e tuttavia chiara. Il Sole indora per un istante ogni mattina la banchina affollata. E, subito dopo, si getta verso l’avido mare. Taranto, la Taranto Mare Piccolo si spegne, si addormenta nel suo rozzo mantello. Essa stringe le acque nel cavo della mano callosa e ruvida; sotto le vesti a brandelli mostra la forza del suo corpo e dei suoi garretti. L’aria leggera che ‘avvolge, questo fuggente riflesso d’amore venuto da lontano infinito e dalla costa languida e criminale, si ritempra con uno spirito più umano. Se qui ssi ama, è senza peccato contro natura, d’un amore che fortifica. Gli antichi non conoscevano qqueste due Taranto, così diverse nell’impressione del viaggiatore coontemporaneo.

André Maurel

Petites villes d’ Italie 1920

9 Comments on "CITAZIONI"

    E’ un’autentica “perla” letteraria che lascia, a tratti senza respiro !! Pennellate di autentica poesia che vanno “sorseggiate lentamente”: ogni periodo merita un attimo di sosta e di riflessione. Lucia, credimi, si avvicina molto al tuo “stile” e, mi sono accorto solo alla fine, che non eri tu ad averla scritta. Sei stata brava a “scoprire” questa descrizione di Taranto, che andrebbe “divulgata”, per bilanciare anche in noi la nostra “visione a senso unico”, e che ci fa “dimenticare” quanto bella è la “nostra Taranto.

    L’ho letta per caso nel libro di un amico e mi ha folgorata. Dopo qualche giorno sono andata a fare una passeggiata a san Vito… lungo il versante che s’affaccia su Taranto. La giornata era mite e c’erano persone che passeggiavano piano… sembrava parte dell’incanto della descrizione di Maurel!

    Cara Lucia, questo scritto sembra una vera e sublime “dichiarazione d’amore” a Taranto.Ogni parola e aggettivo rievoca immagini e ricordi lontani di una terra tanto amata. Ogni frase contribuisce a lasciare il corpo e la maschera e a volare e poi tuffarsi con l’anima in questo mare cosi’ suadente. Che pennellate delicate e forti e pungenti allo stesso momento, mi sembrava di essere li’ a guardare quello spettacolo meraviglioso. Era il 1920, come sarebbe bello che i nostri giovani riuscissero a guardare a questi mari e a questa citta’ con la stessa intensita’ e dolcezza, senza doverla lasciare per cercare chissa’ quale fortuna o a maltrettarla se si rimane!

    Bellissima!!!!!!!!!Bea sta studiando i greci e ha visto che una delle città più importanti della Magna Grecia era Taranto…non si capacità come mai sia così decaduta!!!! Ma per Roma vale lo stesso discorso!!! Sono gli uomini a fare grande una città e noi siamo nuovamente alla decadenza dei costumi…speriamo di migliorare!

    Ciao

    raffy

    … Ci sono state diverse distruzioni nei secoli … Soprattutto per questo non ci sono più resti della Magna Grecia, quanto alla decadenza umana… difficile dare una spiegazione scientifica… ho modo di vedere che la gente continua a tirare i piedi al prossimo seguendo la logica: “non ci riesco io ma neppure tu devi poter riuscire” … e non si va mai da nesuuna parte, o forse sì… col sedere per terra( o sotto terra come la nostra Persefone seduta, che fu tirata dai piedi nel regno dell’Ade).!

    Purtroppo in Italia siamo ormai fossilizzati sul “Non è colpa mia, ma degli altri”…. L’italiano medio dovrebbe cominciare a rimboccarsi le maniche e capire che forse a volte bisogna agire per primi senza aspettare che siano gli altri a farlo….

    Cmq se tutto va bene qualcosa migliorerà e fra due/tre anni torneremo il Bel Paese di sempre 😉

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