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Tributo d’amore alla città patria

Tributo d’amore alla città patria

“Oebaluam Arcem tarentinam dixit”, ovvero i poeti greci si riferiscono a Taranto con l’appel­lativo di Rocca Ebalia, dal nome della regione dove sorgeva Sparta (gli stessi spartani sono indicati come ebalidi).
La rocca sorge sul terreno dirupato e scosceso, sullo scoglio, la punta da cui tuffarsi nel mare, l’ultimo avamposto della terra ferma ed, il primo approdo dopo il naufragio.
Questo è il luogo che noi, discendenti, chiamiamo Taranto vecchia, la fortezza dove si ar­rampicano le brame dei conquistatori, dove si sovrappongono le ombre dei millenni, dove i sassi testimoniano leggende dimenticate o rimosse dalla volubilità degli uomini, dove il tramonto del sole è così spettacolare da incantare perfino gli eroi come Ercole, per indurli al desiderio del piacere dei sensi.
La venerazione ed il culto di Ercole è garantita dalla presenza de “il colosso del nume (che) doveva anzi essere collocato nel punto più elevato dell’Acropoli, fra le attuali piazzet­te san Francesco e san Costantino,(m.12,50 sul livello del mare) perché le navi che giun­gevano in porto, o ne uscivano, potessero vederlo da lontano”.
Nella ricostruzione di Egidio Baffi, storico e storiografo tarantino, non ci sono fratture irri­mediabili, fossi insuperabili e speranze irreparabilmente perse, ricordi e contingenza sono un racconto unico e continuo, spesso le storie hanno la stessa voce oltre ai tratti somatici comuni, un eterno presente in progressione forse non rispondente alla rigidità degli schemi scienti­fici di un’archeologia strenuamente rigorosa e “polverosamente” erudita, il nostro autore ama la nostra città, pertanto non pretende di spiegarla alla ragione di turisti di pas­saggio, il cronista vuole assaporarne appieno la vita e condividere, con noi, il gusto di tale banchetto.
Forse proprio i fasti, specificatamente nel periodo ellenistico, fra vini prelibati e profumi inebrianti emanati dai fiori delle corone con cui le belle tarantine si ornano il capo, forse il lusso di monili raffinati ed eleganti come non se n’erano mai visti prima, o forse l’invidia per la potenza sul mare… Orazio stigmatizza in un celebre verso: “molle imbelle tarentum”, come se la regina dei due mari non sappia nuotare ed indugi sulla riva preferendo la dis­solutezza e il delirio delle baccanti all’austera navigazione in mare romano. No, l’innamora­to della sua città non accetta di vederla ridotta a luogo comune del disprezzo dei vincitori sui vinti; un verso che deve essere accuratamente studiato ed interpretato, un argomento che mina il carattere dei concittadini per annientarne l’orgoglio dopo averne distrutto le di­fese murarie e saccheggiato le case ed i templi.
L’offesa dei conquistatori stra­nieri grava sul cielo di Taras, sul cielo dell’intellettuale che op­pone un’appassionata difesa contro a calunnia inaugurata dal poeta latino, la strenua dife­sa nel libello intitolato proprio come il verso incriminato.
Il valore di quest’opera è quello di materializzare e fissare su carta la dedizione, il trasporto amoroso, il rispetto del cives verso i luoghi della sua infanzia, sentimenti che lo hanno en­tusiasmato rendendolo instancabile nella ricerca della verità storica. Il suo interesse non si limita all’archeologia, alla topografia, alla storiografia, egli analizza, anche, il linguaggio dentro e fuori i confini presunti della capitale magno-greca; uno studio complesso non per far bella mostra del proprio sapere ma, più modestamente, per soddisfare il bisogno di ab­bracciare la propria amata patria.
A questo proposito, un altro illustre tarantino, Giacinto Spagnoletti, ha scritto: “Questo solo Baffi chiedeva alle sue ore migliori: di discutere della sua città, della posizione delle anti­che ville romane, di templi, delle leggende medioevali, con chiunque mostrasse desiderio o curiosità in siffatti argomenti”.
In questi giorni grigi e soffocanti, in troppi invocano l’ab­bandono di questa città tradita e deturpata dal disincanto, spesso ostentato, dei suoi stessi figli, ma questo vociare nebulo­so scosso da tuoni spaventosi di capi improvvisati, queste correnti umide mi raggelano così traggo grande beneficio (e non consolazione) nel leggere tra le righe dell’illustre Baffi, una dichiarazione accorata per la mia città.

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