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La realizzazione del brutto

La realizzazione del brutto

L’inquinamento e lo sconvolgimento degli equilibri naturali sono, secondo me, i peccati ca­pitali del secondo millennio.
L’uomo che compromette e distrugge il suo habitat è reo di odiare la vita, senza nemmeno avere il coraggio, o l’onestà, d’ammetterlo.
I motivi che sorreggono la scelta dell’inquinamento sono molteplici: economici, politici, di troppa ignoranza o di smisurato egoismo; motivi e non ragioni perché nessun ragiona­mento che non si limiti al conteggio degli effetti a breve termine, nessun discorso rationale che segua i principi e non i bassi istinti, nessun processo logico-deduttivo valido sempre ed in ogni luogo, nulla di vagamente sensato potrebbe giustificare fino a scusare lo scem­pio perpetuato ai danni della Natura.
Per questo preferisco spostare il mio discorso sul piano estetico dal versante artistico più che da quello teologico, sostituendo la parola Male con il suo tradizionale equivalente figu­rativo: Brutto.
Per l’esperto filosofo di estetica Remo Bodei, il brutto non è mai stato completamente estraneo all’arte, ma: “Sostanzialmente, all’inizio della nostra civiltà, il brutto come il falso ed il cattivo in senso morale, è una mancanza, un’assenza di bello, un’assenza di vero, un’assenza di buono. Quindi l’unica strategia per capire che cosa è il brutto è di strapparlo nella sua storia da questa assenza e vedere come acquisti progressivamente dei caratteri ben determinati e poi acquisti anche diritto di cittadinanza nella patria dell’arte”.
Secondo il professore di Pisa, lo sdoganamento del brutto artistico è stata opera del Cri­stianesimo perché ha eletto il deforme a manifestazione esteriore del peccato che, a sua volta, è il motivo principale della espiazione e della redenzione, come se il peccato fosse la caratte­ristica più autentica dell’essere umano e dunque la bruttezza sia la normalità fisi­ca che gli si s’addice.
L’altra peculiarità umana, che distingue l’umano dal divino, è il dolore.
Per lo studioso Remo Bodei, come prima per il romantico tedesco Karl Rosenkranz, e, più re­centemente, per il se­miologo Umberto Eco, la bruttezza è anche una riproduzione artisti­ca in quanto rappresentazione del dolore; dalla passione del Cristo agli orrori dei corpi mu­tilati e moren­ti per povertà e miseria, il brutto si è incarnato in qualcosa di diverso ed indi­pendente dal bello di cui era stato ombra fedele.
Il famoso romanziere nostrano, nella sua antologia “La storia della bruttezza”, prende atto di tutta la materia che si è sviluppata intorno a questa nuova “esigenza”, non un piacere dell’orrido (come invece preannunciavano, provocatoriamente, i futuristi), piuttosto il biso­gno di raccontare il mondo “vivente” per riappropriarcene consapevolmente. Nessuna pa­rentela e nessuna nostra somiglianza con un pianeta laido.
Infatti, per il professore di Bologna, la differenza fondamentale fra bello e brutto consiste nella distanza che poniamo fra noi e la cosa che se è sgraziata non la “compriamo” né aspi­riamo ad averla (al contrario del bell’oggetto o del bell’amante). Eco scrive: ”La sensi­bilità del parlante comune rileva che, mentre per tutti i sinonimi di bello si potrebbe conce­pire una reazione di apprezzamento disinteressato, per quasi tutti quelli di brutto è quasi sem­pre implicata una reazione di disgusto, se non di violenta repulsione, orrore,spavento”.
Questo sentimento ci porta a negare l’esistenza stessa della cosa orrenda, tale estranea­zione è un rimedio arti­gianale per allontanare da noi stessi il “calice amaro” che l’immagine sgradevole ci porge.
Allora l’arte del brutto sembrerebbe voler denunciare l’esistenza del fattaccio, del difforme e della sua causa, ahimè spesso finisce per creare assuefazione, come dire che l’orripilan­te è parte della Natura stessa e dobbiamo accettarlo come un limite invalicabile?
Eppure, mostruosa è quella figura informe che rompe gli schemi dell’armonia e delle pro­porzioni formali, l’arte dell’orribile non riconosce regole a costo d’annullarsi nel caos; per cui il brutto è il passaggio negativo nel divenire della vita, un momento della ricerca del bello-sublime.
Continuare a “spor­care” la Natura significa spezzare ogni ciclo biologico, ovvero, per usare una metafora, trasformare il peggiore degli incubi, quello di una esistenza soffe­rente e malata in realtà permanente e definitiva per noi e, per chi riuscirà a venir dopo di noi.

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