Aspettando Godot
Nel 2003, Edoardo Winspeare girò, a Taranto, il film “Il miracolo” ; dove il protagonista, un bambino dodicenne della città, in seguito ad un grave incidente automobilistico, si risveglia con l’inverosimile capacità di risuscitare i morti dal loro sonno eterno. I genitori cercano di approfittare speculando su questo suggestivo potere “miracoloso” di Tonio per risolvere i propri problemi sia economici che sociali, ma la vera forza del ragazzino è l’umanità dimostrata nell’intessere un rapporto di amicizia con la sua stessa investitrice Cinzia, rea di non averlo nemmeno soccorso subito dopo lo scontro.
Questa storia potrebbe essere la trasposizione della teoria storicistica di Walter Benjamin esimio filosofo tedesco non abbastanza conosciuto in Italia.
Nelle Tesi di filosofia della storia (in Italia edito nell’antologia Angelus Novus a cura di Renato Solmi), il critico berlinese nega alcun valore alla concezione storicistica (o pseudo tale) secondo cui il progresso è un inevitabile miglioramento con happy-end garantito, la teoria “ottimista” secondo cui la storia s’identifica con la realizzazione del vincitore cancellandone ogni colpa ed errore, rompendo ed azzerando il, di lui, passato e “das Erbe” il patrimonio culturale che ha ereditato.
La storia del dux, del Salvatore, tecnicamente la concezione lineare del tempo è una visione messianica, terribilmente in voga anche presso i miscredenti, ed implica la rinuncia al presente annichilito dall’attesa di un futuro migliore, piovuto come “manna dal cielo”. Non vale la pena sperimentare un “attimo” che sarà sorpassato ed arricchito di felicità. D’altra parte, per il nostro professore precario, la felicità è la ricompensa della umanità redenta, quella gens che si è impegnata ed ha affrontato e sconfitto tutti i nemici e tutte le paure.
“Certo solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato vale a dire che solo per l’umanità redenta il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti”. Il passato è un terribile cumulo di dolore ma, ridurlo ad ammasso di macerie non serve a nulla; invece cercare un rapporto dialettico col “tempo che fu” significa interessarsi al significato del nostro presente per intuirne i pericoli, prevenirne le crisi ed accrescere la forza della civiltà tramandataci dalle generazioni precedenti.
Questa è la filosofia di un pensatore ebreo perseguitato dal nazismo, una vittima che non si arrende allo sterminio ed erra per tutta l’Europa in cerca di salvezza senza invocare pietà; forse, però , il segreto del suo pensiero è che non si vergogna del suo passato, non rinnega le sue origini invidiando lo status altrui; forse questi sono rancori che riguardano gli uomini piccoli, i nani lividi ed affamati che non sanno immaginare alternative al proprio egoismo, homuncoli spregiudicati che odiano tutto ciò che non porti il loro segno. Nella mia mente raffiguro così quei “benpensanti” che si ostinano a chiedere la demolizione del passato rappresentato da edifici di fattura inadeguata rispetto ai canoni del confort moderno ma non per questo possono essere considerati ruderi da disinfettare col tritolo. Cancellare ogni ricordo, ogni segno del nostro passato non ci garantirà un futuro comodo, e nemmeno tranquillo perché omologare l’habitat intorno a noi ci costringerà a rimanere chiusi nella solitudine muta dei nostri pensieri riflessi nei muri che abbiamo eretto.
Non arriverà Godot per portarci via da questa morte o da questa pazzia.
Fino all’unità d’Italia, a Taranto si poteva costruire solo entro le mura cittadine, per cui abbattere vecchi edifici era indispensabile per costruirne di nuovi a costi meno elevati rispetto a quelli necessari per il recupero degli immobili, tuttavia tale pratica non ha più ragione d’essere ora che la città si espande per oltre 220 kmq, in questi giorni difficili quando pochi sono i riferimenti utili per orientarci e trovare la via per la salvezza, ancora discutiamo se abbandonarci all’oblio di noi stessi?