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Libeccio, il vento umido che soffia da sud

Libeccio, il vento umido che soffia da sud

 

Inghilterra 1904, James Mathew Barrie, scrive per il teatro “Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere”, la storia di un Peter con un pensiero felice che lo inebria permetten­dogli di volare fino all’isola che non c’è seguendo, semplicemente, il percorso segnalato dalle stelle del cielo.

Italia 1950, Pietro Germi gira il film neorealista “Il cammino della speranza”, la storia di un gruppo di minatori siciliani che emigrano in Francia per cercare fortuna ovvero lavoro, un viaggio pieno di traversie e di dolore su un territorio ostile.

Puglia 2008, nessuno ha più voglia di raccontarsi chiacchiere, il futuro è una conquista va­lida per pochi, gli eredi delle fortune del padre, a casa propria o in Perù essi godranno dei privilegi della propria casta, il resto è polvere e cenere. .

La crisi economica mondiale aggrava il trend negativo della disoccupazione, problema che investe, particolarmente, le province del meridione dove il livello del benessere si abbassa ulteriormente, come risulta dal ”rapporto 2008 sulla qualità della vita” stilato da ITALIAOG­GI.

Già 270 mila persone ogni anno si spostano dal sud al nord, di questi 12o mila si stabili­scono definitivamente al nord, mentre i restanti 150 mila sono precari, ivi compresi gli stu­denti universitari, tutti assistiti e sovvenzionati dai genitori rimasti a casa che continuano a man­tenere i figli o, perlomeno, a contribuire economicamente alle spese più alte dei loro miseri e malfermi stipendi “a termine”.

Quanto detto è il risultato dell’analisi condotta dalla Svimez, associazione per lo sviluppo del mezzogiorno, un numero, quello delle partenze, che approssima vergognosamente quello degli anni ’60, quando erano in 290 mila I meridionali che si spostavano al nord per trovare fortuna sopratutto nelle fabbriche fiorenti del triangolo d’oro: Genova-Torino-Mila­no.

Cifra maledetta che sarà eguagliata, se non supe­rata, nel 2020, secondo le previsioni di ACCITALIA dell’Anci.

Animo, bamboccioni terroni, emigranti sì ma… spiriti liberi per cercare la felicità, un vento che soffia dal sud verso nord come Libeccio, il protagonista dell’omonimo romanzo di Fol­co Quilici, l’uomo che fra mille traversie solca mari ed oceani per darsi la possibilità di vive­re senza compromettere il proprio rigore morale.

Il nuovo Eldorado è dunque il paese dove si lavora, un lavoro qualunque, anche non quali­ficato, inadeguato rispetto ai titoli di studio, d’altra parte il ministro Gelmini ha chiaramen­te detto che: al sud, si studia poco e male e che I docenti meridionali dovrebbero seguire cor­si di aggiornamento particolari, prima di essere considerati pari con I colleghi del nord.

Il vero problema è nella nostra vicinanza all’Africa nera, noi abbiamo pelli troppo abbron­zate e in troppi ci confondono con quei negri che, nei secoli del colonialismo selvaggio, sa­livano sui mercantili e di­ventavano schiavi, abbagliati dai riflessi di specchietti e perline colorate, finivano per imbarcarsi felici, contenti di lavorare sotto padroni che negavano loro anche l’anima.

Niente più specchietti né collanine, I nostri giovani non si illudono più di cambiare il proprio destino, salgono sulle rotaie delle nuove imbarcazioni e partono coscienti che quello che li aspetta è un lavoro precario e poco remunerato secondo la ricetta del ministro Sacconi che, addirittura, propone di lavorare 4 giorni su sette e stipendio mancia.

Secondo Hannah Arendt, eccelsa filosofa e storica tedesca, il lavoro è parte importantissi­ma del ciclo biologico umano la fonte imprescindibile per il sostentamento dei bisogni na­turali, lavorare è l’azione che distingue l’uomo dagli animali e dagli dei e lo caratterizza nel­la sua affermazione di essere umano.

Proprio per questo ogni società moderna può definirsi civile, solo ed unicamente, se so­stiene il primato del lavoro con politiche adeguate ,che non trascendano le necessità natu­rali degli uomini, rimanendo indifferenti alla ricerca di felicità a cui ogni essere vivente ha dirit­to.

Nelle società antiche vigeva il di­sprezzo per il lavoro considerato la praxis che abbruttiva lo spirito; ma questo perché c’era la schiavitù, una risorsa economica tale da essere consi­derata fonte di ricchezza ed essere conteggiata nel patrimonio con il denaro, l’oro ed I beni immobili.

Nessun spavento, la situazione non è degenerata al punto da regredire all’età del baratto (che , però, è tornato di moda negli States); lo spostarsi da un territorio all’altro, da un la­voro all’altro, richiama la transumanza delle greggi e dei pastori che avviliti non credono più alle stelle e disorientati nel buio della notte, lontani da ogni forma di sicurezza guardano la Luna e tor nano a chiedersi:

Che fai tu, luna in cielo? Dimmi, che fai, / […] Dimmi, o luna: a che vale

al pastore la sua vita,/ la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende / questo vagar mio breve /

il tuo corso immortale?” (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, G. Leopardi)

 

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