Gli italiani la sanno lunga
Antonio Caprarica in una recente intervista per la presentazione del suo nuovo libro Gli italiani la sanno lunga… o no? Ha ribadito il luogo comune che etichetta gli italiani come esterofili, mentre i popoli stranieri sarebbero più fieri del loro popolo, sempre pronti a mettere la patria su tutto; gli italiani non mostrerebbero lo stesso amore, né rispetto, per la propria casa madre, più inclini a lamentarsi invece che adoperarsi per i rimedi.
Lo stesso autore sottolinea come gli inglesi, ed anche i tedeschi, si considerano gli eredi naturali dei Romani, e portano a dimostrazione di questa tesi la struttura grammaticale della propria lingua, la solidità politica del proprio Stato, la grandezza del proprio impero economico, o addirittura, l’efficienza della propria potenza militare.
Noi italiani siamo i discendenti legittimi, ma abbiamo accantonato il rispetto dei valori e degli ideali romani come quello della res publica, l’accoglienza nel nostro pantheon delle divinità altrui, la possibilità data agli stranieri di divenire “cives romano” e, perfino, imperatore pur non provenendo dalla élite più agiata della capitale economica.
L’unica traccia degli insegnamenti provenienti dal nostro passato, l’unica pratica evidente della nostra eredità era realizzata nel modello della scuola, il cosiddetto “modello italiano” che prevedeva l’inserimento e l’integrazione di studenti disabili e stranieri all’interno delle classi regolari delle scuole di primo e secondo grado.
Questo modello è stato importato in Germania ed in alcune strutture del nord America, dove era consolidata l’istituzione di classi speciali entro cui emarginare i diversi e lasciare crescere le incomprensioni, nemiche principali di ogni socializzazione fra esseri umani.
In Italia, le classi differenziali erano state superate già negli anni settanta , con buoni risultati grazie, anche, alle ricerche di psicologia applicata per migliorare le competenze degli insegnanti di sostegno e per concentrare l’attenzione di tutto il sistema scuola sulla pluralità della capacità di apprendimento degli studenti e non ridurre il tutto all’unicità dell’insegnamento (dove al centro c’è un insegnante e non l’alunno).
Nel tempo diversi sono stati i modelli a cui la scuola, o l’educazione scolastica, si è ispirata: l’ideale romantico voleva che l’istruzione fornisse al bambino una stella polare per aiutarne l’orientamento in ogni luogo e situazione; mentre il positivismo era più sensibile all’alfabetizzazione delle masse per formare cittadini, come scrisse Angiulli (padre del positivismo pedagogico italiano) “l’educazione del popolo è un fatto di utilità generale, tocca l’esistenza di tutto l’organismo sociale, e però è un dovere nazionale, e cade nelle appartenenze o nei diritti dello Stato; il quale comprende le condizioni e gli uffici connessi con la vita della totalità collettiva”.
Col nuovo secolo si affermò il modello di Giovanni Gentile ovvero dell’attualismo, dove il bambino non è più una realtà passiva ma partecipa alla propria crescita intellettuale attraverso l’attività personale a cui l’insegnamento deve affiancarsi.
Più recentemente abbiamo assistito alla riforma Moratti che voleva aggiornare la nostra scuola secondo modelli europei introducendo, per esempio, l’alternanza scuola-lavoro, poi la riforma Mussi più attenta all’ideale di efficienza ed eccellenza dell’università; ma la recente riforma del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca scientifica, l’avvocato Gelmini quale modello propone, che ideale segue?
Il ripristino di un unico insegnante nella scuola elementare con classi più numerose a quale esigenza risponde, la trasformazione delle università in fondazioni private come destabilizzerà lo strapotere dei “baroni” universitari?
I tagli agli investimenti sulla istruzione ignorano le conseguenze sul futuro anzi negano un futuro a chi ha bisogno dell’istruzione pubblica per crescere ed evolversi.
Risparmio per chi? non certo per le famiglie degli studenti che dovranno pagare le rette delle scuole private per garantire ai propri figli un buon livello di istruzione.
Nella confusione di questi giorni, fra chi contesta e chi appoggia la suddetta riforma, mi torna in mente una osservazione del prof. Nietzsche, a sua volta critico del sistema scolastico tedesco, in una prefazione ad un libro mai scritto profetizza la fine della scuola e dell’università a favore dei pochissimi che sapranno pensare oltre la propria cultura.
Lo scrittore di viaggi sir Patrick Leigh Fermor, di fronte alla grossolana distruzione del patrimonio culturale iracheno, ricordò un episodio personale risalente alla seconda guerra mondiale quando dopo aver catturato il gerarca nazista Kreipe scoprì di avere qualcosa in comune con questo nemico perché entrambe citavano Orazio in latino; la cultura come fonte di convivenza… in Italia scambi di questo genere non saranno più possibili perché, con l’avvento dell’ultima riforma della scuola sarà distrutta la crescita culturale pubblica.