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Lo specchio di Martino

Lo specchio di Martino

Ci sono giorni pieni di sole e di propositi, progetti e certezze; ogni nome indica precisamente qualcosa ed ogni cosa ha il nome giusto.

Altri giorni hanno un cielo pieno di nuvole che, soffocano la chiarezza delle proprie convinzioni, giorni fecondi di domande dubbiose, perplessità che rendono incerti i passi ed il loro equilibrio sulla strada, asfaltata o meno che sia; quella è la luce che consiglia il malumore a scatenarsi, rendendo tristi i pensieri se non lugubri addirittura, la noia vince tutti i programmi e mi ritrovo a scrivere su un foglio una brutta storia nella quale ritrovo sensazioni dimenticate con l’accumularsi degli anni, cerco la vita raccontandomi quello che intravedo nello specchio ogni volta che concentro lo sguardo su di esso:

UNO

La facoltà che un essere ha di agire conformemente alle sue rappresentazioni, si chiama vita.

(Kant, Metafisica dei costumi)

Questa storia si conclude col silenzio.

Un giorno il nostro uomo si guarda allo specchio, e trova una faccia che lo guarda; quella faccia ha un gran sorriso che s’inquadra, perfettamente, nella cornice dello specchio, improvvisamente il singhiozzo, come una nota stonata, interrompe l’artificiosa melodia fino ad una lacrima in cui si riflette e scintilla la luce di un’idea, e con la pausa del silenzio, Martino interrompe la melodia meccanica dell’unica canzone che ha imparato a memoria.

La sensazione di guardarsi allo specchio, sapere che di fronte hai la tua immagine ma scoprirla estranea, come fosse la prima volta che la vedessi, questa sensazione è ingannevole, un’allucinazione cosciente che ti confonde e disorienta e, quasi ti senti costretto a difenderti ed a ripeterti: “Non può essere vero”; infatti, non appartiene alla verità assoluta di cui ti hanno parlato, non è nemmeno verità relativa, non è verità di fatto; lo specchio riflette le immagini che gli sbattono contro, “Martino sei tu nello specchio”, magari la luce accarezza troppo le guance e né mostra tutti i peli non rasati, magari un lato del viso è più fotogenico dell’altro, magari c’è ancora un po’ di gonfiore della notte, la circolazione non è del tutto attiva, magari, nel dormiveglia, gli occhi s’ingannano; “Martino, sei tu nello specchio”.

Controlliamo: occhi scuri, capelli corti, sbarbato dalla sera precedente, tutto corrisponde all’indice del libro. Se tu affermassi che non trovi coincidenza fra te e quell’immagine, ti prenderebbero per pazzo, mi chiedo: “Sei pazzo?”

“Questa mattina a che gioco vuoi giocare? Logico che sono io, e non vado, di certo, a raccontare in giro che guardandomi allo specchio non so chi ho visto, mi dimostrerei stupido. Sì ma, con chi sto parlando, da solo, realmente pazzo schizofrenico?”

Non importa, basta chiudere questo discorso folle nel silenzio; al sicuro da interpretazioni ignoranti e fuori programma. Un silenzio pronto ad esplodere oppure a morire dimenticato.

Per la prima volta c’è discordanza fra ciò che Martino vede e ciò che ha imparato a sentire; egli non dà mai troppo peso alle discussioni, neppure alle liti violente che sfociano in spintoni e pugni; gioca sempre in difesa, più incline al compromesso che ad un attacco perdente.

Questa volta non basta un sorriso ed una pacca sulla spalla, il tipo nello specchio ha già vinto, ora viene a riscuotere e c’è il rischio che prenda tutto: il nome, la posizione, il rispetto, la ragione e la vita stessa.  Martino legge queste minacce nel vivace e maligno luccichio degli occhi che vede. Riconoscere la resa significa entrare in conflitto col resto del mondo, quello che lo conosce e che fa di lui un vincente ma, d’altra parte, non può sfuggire al giudizio di quell’ombra che lo segue sempre, indomita disposta perfino ad arrampicarsi sullo specchio per ossessionare il nostro protagonista.

Inutile chiedersi chi sia, cosa sia successo, come andrà a finire la storia, ora bisogna andare avanti, dove? Fuori!

Intanto fuori casa, e temendo domande inopportune Martino procede in fretta: si lava e si veste mantenendo lo sguardo basso come un colpevole di fronte alla vittima innocente ed inconsapevole.Indossa jeans, giacca blu, camicia bianca a righe sottili blu e scarpe comode, un completo sicuramente adatto qualunque sia la giornata che lo attende; forse un abbinamento troppo facile addirittura banale, ma non è il momento di soffermarsi sui dettagli.

Anche le abitudini diventano particolari trascurabili come, per esempio, alzare le tapparelle della propria camera ed aprire la finestra per fare entrare un po’ d’ossigeno e sperimentare la temperatura corrente. Martino, generalmente, si concede la prima colazione sulla soglia della finestra mentre ricapitola gli impegni della giornata per scegliere l’atteggiamento da assumere e la giacca da indossare per creare un affascinante pan-dan che possa impressionare chiunque, al primo colpo.

Invece, oggi, niente colazione, ed è stranissima la luce fuori del portone, addirittura accecante come per qualcuno appena uscito dalla tana sepolta sottoterra, una luce che abbaglia e stordisce ma per pochi attimi.

Nonostante le interferenze come il traffico, i semafori, il portiere Martino arriva in ufficio incredibilmente puntuale senza nemmeno accorgersi che non ci sono nuvole in cielo e la temperatura è mite in sintonia con la sua giacca.

Dopo qualche passo in ufficio s’irrigidisce nell’intuire lo sguardo indiscreto di un collega che si è accorto dei suoi capelli spettinati e senza gel.

“Martino spettinato? Chissà che notte ha passato; notte con una donna affamata, che gli ha prosciugato ogni energia, ogni ragione, se non si è curato di pettinarsi”.

Questo non è, solo, il sospetto di un presunto conoscente ma, soprattutto, ciò che il collega vorrebbe sentire e l’unica giustificazione cui crederebbe con invidia e, perfino con disprezzo per un modo di vivere superficiale da bohemien.Questa è la bugia che Martino ha raccontato, l’immagine che ha costruito e cui ha creduto ciecamente fidandosi dei propri istinti.

Da bambino tutti elogiavano Martino per la sua sensibilità, il suo commuoversi allo sguardo di un cucciolo, il suo reagire prontamente ad ogni prepotenza che lo riguardasse personalmente, o no.

Stranamente, ora, la memoria torna ad essere coscienza, come se, Martino svegliatosi dal suo coma, non ricordasse semplicemente le belle parole della sua infanzia, ma ne riconosce, nuovamente, il suono, la musica, il motivo.

La scrivania è di sempre, l’agenda è esattamente quella che deve essere, ed il computer ultima generazione è quello che l’impiegato si aspettava di trovare; la realtà non cambia per il capriccio di uno specchio.

Seduto nella sua sedia anatomica, il nostro personaggio sa che è successo qualcosa, ma cosa?

” Che cosa hai oggi, piccolo, hai fatto brutti sogni… fissi la colazione senza mangiare…”
“Nonna, perché lo specchio si è rotto? Io non l’ho colpito, che significa il mio sogno?”
“I sogni non sempre hanno un significato e, non sempre, la violenza è una forza fisica… magari, allo specchio hai detto qualcosa di brutto, di talmente cattivo da ferirlo e romperlo. Ma tu sei un bravo bambino, non sai pensare cose cattive, allora forse, lo specchio era già crepato e non te n’eri accorto.”
“Pensieri cattivi, nonna?… Sì, ieri quando sei venuta in cortile a dividermi da quel Marco Pollo perché lo stavo mordendo, ti ho detto che l’ho morso perché mi voleva minacciare col coltellino, ma non ti ho detto che mentre lo addentavo, sentivo la sua voce gridare per il dolore ma nel frattempo pensavo che io non stavo provando dolore alcuno ed avrei continuato a stringere. Questo è un pensiero cattivo, questo ha rotto lo specchio?”
“Il senso di colpa nato in te da questo pensiero, forse. Martino non sei cattivo, hai reagito ad una minaccia, per istinto; bada, però, a non esagerare perché anche i cani hanno un istinto e non lo sanno controllare, gli uomini sì.”
“Nonna è bello che tu sappia, sempre, spiegarmi i sogni, io cerco sempre di ricordarmeli così tu me li spieghi”
“Bevi il latte diventa ghiacciato, freddo lo sarà già.”

La nonna, lo specchio, l’interpretazione dei sogni…
“Vuoi un pocket-coffe … il caffè al risveglio è necessario”.
“Grazie Laura, sì, avrei bisogno di svegliarmi, non sono sicuro di averlo già fatto”.
“Allora dovrei approfittare del momento ed estorcerle un encomio firmato per la mia carriera da segretaria modello”.
“Sì, buono, grazie, n’avevo bisogno”.
“Martino, oggi, c’è la conferenza stampa del presidente, vada lei, in rappresentanza dell’ufficio, qualcuno deve andare”.
“Sì, oggi non ho voglia di stare qui a parlare; vado: dove ed a che ora?”
“Corso Umberto I, Royal Hotel, sala congressi, ore 10,00”

Lo sguardo di Martino va, automaticamente, all’orologio; le lancette segnano le otto e quaranta è presto prima di poter uscire a vedere com’è la giornata, quanto tempo è trascorso dal giorno in cortile, ci saranno ancora bambini nei cortili o come dice la gente i bambini moderni sono sempre incollati davanti la televisione?
Ripiombato nella sua discussione interiore Martino non fa caso ai miei occhi che lo interrogano sul significato della sua vita nella mia vita.

Il silenzio della storia è quello della mia camera, e lo sguardo imprigionato nello specchio è il mio che oggi non ha voglia di uscire dalla mia piccola stanza, e cerca qualcosa di cui parlare senza doversi preoccupare di vivere.

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